
Capitolo 2
Antonia fece scattare il cappuccio dell’accendino d’argento che stringeva nella mano. Non era riuscita a cavare nemmeno il nome dal cadavere ambulante che si stava portando dietro. La ragazza continuava a raccontare una storia su una clinica, un tentativo di aborto e la fuga da un qualche paese straniero non identificato.
La ascoltava solo di sfuggita, tutta la sua attenzione era concentrata sull’evitare la presenza umana. Via dei Fori Imperiali era vicina e sarebbe stato impossibile sottrarsi agli sguardi degli automobilisti.
«T...Tu… Cosa... Chi sei?» le domandò con un filo di voce.
«Antonia» si limitò a rispondere, continuando a guardare dritto davanti a sé.
Sono quella che vi mangia di notte, sono l’uomo nero, proseguì poi, pronunciando quelle parole dentro di sé.
Non aveva voglia di vedere quegli occhioni spalancarsi per il terrore, per poi ricordarsi che, solo pochi minuti prima, anche lei si stava godendo un bel banchetto di carne e sangue. Antonia l’aveva vissuta troppe volte quella scena.
In Francia, una donna aveva tentato di uccidersi buttandosi nella Senna, dopo che le aveva detto cosa era diventata. Aveva passato l’inferno per recuperarla e non era servito a niente. Pochi giorni dopo aver partorito, si era comunque uccisa, lasciandosi carbonizzare al sole.
Richiuse per l'ultima volta l'accendino e se lo infilò in tasca. Era tutto quello che le rimaneva di quella donna di cui non aveva mai saputo il nome. Era il ricordo del suo coraggio e della codardia che attribuiva a se stessa. Lei che, contro ogni buon senso, si ostinava a vivere quell’esistenza di miseria e dolore.
«Dove stiamo andando?»
Antonia si pentì di aver avviato quella conversazione. Stava ancora pensando a come rispondere, quando un uomo le si parò davanti. Notò subito il colletto bianco che indossava sotto la giacca nera: un prete.
Il volto barbuto era solcato da una cicatrice che gli scavava tutta la guancia destra fino all'angolo dell'occhio. I capelli castani si univano alla barba, delimitando una mascella squadrata su un collo forte. Era alto quanto lei e le spalle larghe evidenziavano un fisico prestante e allenato.
«Maledizione» imprecò Antonia, mentre l'allerta faceva scattare i suoi sensi.
Perché non lo aveva sentito arrivare? Non ne percepiva nemmeno l’odore.
L’uomo si rivolse alla ragazza. «Amber, vieni con me. Muoviti.»
La conosceva? Perché? Le domande assalirono la mente di Antonia, ma nessuna risposta le dissolse.
La giovane si portò le mani al ventre. «Come fai a conoscere il mio nome?»
Antonia poteva sentire sibilo del suo respiro e il battito forsennato del suo cuore. Non stava mentendo, quell’uomo le era del tutto sconosciuto.
In tutta risposta, lui le tese la mano. «Non c'è tempo per le spiegazioni. Vieni con me.»
Antonia si sforzò di pensare. Quello che stava accadendo non era una cosa da prendere alla leggera. Le ostilità con la Chiesa erano cessate da più di cinquecento anni e quell’interferenza avrebbe potuto causare una crisi diplomatica senza precedenti. Non riusciva a immaginare cosa potesse spingere i preti a rischiare un'eventualità del genere. In ogni caso, non aveva intenzione di lasciargli la ragazza.
Era una questione che non riguardava gli umani. Sapeva cosa significava essere trasformata con violenza: il senso di smarrimento, la sete e il terrore. La consapevolezza che la morte si era presa il suo pegno, lasciando dietro di sé solo dolore, illusione e oscurità. Antonia non aveva dubbi, se assolvere al suo compito avrebbe scatenato una guerra con il clero, non era certo un suo problema.
«Lei non è nella condizione di scegliere.» Le afferrò un braccio e la trascinò alle proprie spalle. «Togliti di mezzo, prete.»
«Dingir, non siamo qui per te, ma per la ragazza. Lotterò se necessario.»
Antonia assottigliò lo sguardo, erano in pochi a conoscere quel nome, antico come lo era la sua maledizione. Il resto dell’umanità aveva inventato epiteti più o meno fantasiosi per creature considerate frutto del folklore popolare: revenant, vampiri, zombie e altri, ognuna con caratteristiche solo in parte riferibili a quelle dei dingir.
Antonia sollevò le labbra sulle zanne, la sua già scarsa pazienza si stava esaurendo. «Devi essere pazzo. Siamo in mezzo alla strada.»
Non solo stava per interrompere una tregua durata secoli, ma era disposto a rischiare che qualcuno vedesse uno scontro all’ultimo sangue al centro di Roma. Sangue che sarebbe stato il suo, visto che non aveva alcuna possibilità di batterla.
Il prete, però, non mostrò incertezza. «Non vedo testimoni nelle vicinanze.»
Antonia gliene diede atto. Era una tarda notte di lunedì e il vicolo era deserto. L'unico rischio era di essere visti dalle macchine che sfrecciavano su via dei Fori Imperiali, ma la notte e la velocità non lo avrebbero reso facile.
Il combattimento ormai era una certezza, ma anche una follia. Se così doveva essere, però, sapeva di dover attaccare per prima. Non poteva correre il rischio che usasse l'acqua santa. Antonia non aveva mai creduto alle fandonie sul diavolo e i suoi servitori e, per molto tempo, era stata convinta che quella fosse solo una superstizione, ma aveva dovuto ricredersi. Un centinaio di anni fa, aveva sfiorato il liquido nell'acquasantiera di una chiesa e l'effetto era stato simile a quello dell'acido. Il suo urlo di dolore era risuonato in tutte le navate. Così, nonostante rimanesse convinta che non avesse nulla a che fare con Satana, aveva la certezza di doversi guardare bene da quel maledetto intruglio.
«Non mi lasci altra scelta.» Il prete infilò una mano nella borsa.
Antonia sentì i muscoli tendersi. Fece scattare le zanne e si lanciò su di lui, atterrandolo. Stava per avventarsi sulla giugulare, quando si rese conto di essere in trappola. Da una macchina parcheggiata, scesero altri cinque uomini che la accerchiarono.
Com’era possibile che non ne avesse percepito la presenza? L’auto poteva essere schermata, ma anche ora che ne erano usciti continuava a non sentirne l’odore. Eppure non erano dingir. I loro occhi, ancora provvisti del bianco che circondava la pupilla, li identificavano come umani. Ma allora chi aveva davanti? Anche l’equipaggiamento di cui disponevano non era comune. In mano stringevano pistole argentate che pulsano di una luce azzurra. Era un dato di fatto: la maledetta tecnologia stava diventando un problema.
«Dacci la ragazza e non ti accadrà niente» le intimarono.
Antonia strinse il pugno. Erano tanti e armati, ma pur sempre degli umani. Sarebbero morti prima ancora di rendersene conto. Piantò una mano sul collo del prete a terra sotto di lei, con l’intenzione di farlo fuori una volta per tutte. Non appena toccò la sua pelle, però, si accorse che era fredda quasi come quella di un dingir.
«Ma che diavolo…» Non fece in tempo a finire la frase che l’uomo la colpì al fianco, scaraventandola all’indietro.
Il prete si rimise in piedi e impugnò una fiala trasparente. Non aveva zanne, ma la velocità con cui si era mosso era molto superiore a quella di un uomo comune. Quello che prima era un dubbio, divenne una certezza: quegli uomini si erano nutriti di sangue di dingir. Solo così dei semplici umani potevano ottenere quel genere di capacità. E visti gli effetti, non era il sangue di un dingir comune.
Il prete stappò la fiala. «Ci costringi a combattere.»
«Lo stiamo già facendo, idiota» sibilò Antonia, lanciando un’occhiata ad Amber, rannicchiata in un angolo.
Anche se per lei era passato troppo tempo, forse poteva ancora salvare il bambino. A patto di riuscire a portarla al Conservarium.
«Che dio ti perdoni» ringhiò il prete scattando in avanti e lanciandole in faccia il liquido sacro.
Il resto accadde in fretta. L’acqua santa le bruciò il volto, ma la sua rabbia fu più forte del dolore. La consapevolezza di ritrovarsi a combattere fino alla morte portò alla luce qualcosa di terribile e sopito. Un mostro che per lungo tempo aveva ingabbiato fra le tenebre più oscure della propria anima. Il tempo sembrò scorrere al rallentatore, ogni dettaglio divenne vivido e chiaro nella sua mente. Li attaccò uno dopo l’altro, schivando colpi e incassando i pochi che non riuscì a evitare in un misto di euforia e sete di sangue. Estrasse il pugnale e si gettò a terra un attimo prima dello schianto secco delle pallottole che si conficcarono nella macchina alle sue spalle. Era tempo di finire la partita.
Rotolò verso l'uomo più vicino e scattò in piedi, tagliandolo in due con un unico fendente verso l'alto. Prima che potesse reagire, atterrò quello accanto con un colpo al volto, finendolo con una pugnalata dritta al cuore. Vide il prete con la cicatrice trascinare via Amber e scattò in direzione dell'auto, colpendolo prima che potesse raggiungerla e facendolo rovinare sull’asfalto. Dalla sua bocca non uscì altro che un urlo soffocato. Per lui era finita ma Antonia non poté fare niente contro l’uomo che se l’era appena data a gambe. Ormai era troppo lontano per essere raggiunto. Niente sensi di colpa, non poteva fare più di così. Che informasse pure i suoi mandanti, lei avrebbe fatto lo stesso.
Il prete che stava trattenendo a terra tossì e un rivolo di sangue gli uscì dalla bocca. «Quello che hai fatto ti costerà la vita.»
Antonia avrebbe voluto interrogarlo come si faceva una volta, ma non aveva tempo. Il bambino stava per nascere.
Gli afferrò la testa e gli torse il collo, spezzandoglielo. «Ecco la notizia: né io e né te ne abbiamo più una.»
Infilò il pugnale nel fodero ed esaminò i cadaveri. Il Nam-Us non ne aveva distrutto i corpi ma, nel punto in cui lo aveva conficcato, la pelle era ingrigita e polverizzata.
«Io… Sto male.» Amber si trascinò in piedi.
Restava poco tempo, ma non poteva farla partorire lì.
Le appoggiò il braccio dietro la schiena, sostenendola. «Allora allunga il passo.»
Riuscì a farla camminare solo fino a via dei Fori Imperiali, poi Amber si piegò in due, portandosi una mano sul ventre.
Sarebbe caduta in ginocchio se non l’avesse sostenuta. «Non ce la faccio…»
Antonia ingoiò il fremito di umanità che, per un attimo, era emerso in lei. «Siamo quasi arrivate, vediamo di non dare spettacolo proprio adesso.»
A meno di cinquecento metri, si stagliava il Colosseo, in tutta la sua antica magnificenza. Era lì che, da millenni, si celava il Conservarium di Roma.
Le auto sfrecciavano a tutta velocità, ma Antonia sentì anche il suono inconfondibile delle sirene. Avrebbe avuto più di un problema a spiegare il suo aspetto e la presenza di una donna incinta e inzuppata di sangue. Di tutte le capacità fantasiose che avevano attribuito alla sua razza, quella che le mancò in quel momento fu la persuasione.
«Avanti» sibilò, afferrandola per un braccio e costringendola a rialzarsi.
In quel momento, si accorse della macchia scura sul marciapiede. Colava da sotto al vestito, fra le gambe della ragazza. Niente da fare: il conto alla rovescia era scaduto. La condusse nell'unico luogo in cui sarebbe stata al sicuro da sguardi indiscreti: le rovine degli antichi Fori Romani adiacenti alla strada. Scelse un luogo poco illuminato e adagiò Amber sull'erba umida. Era agosto e la temperatura era tiepida, nonostante la pioggia che era caduta per tutto il pomeriggio. Intorno, le pietre bianche degli antichi marmi riflettevano la luce della luna e si stagliavano contro il cielo nero come guardiani senza tempo.
Amber si portò le mani sul ventre. «Salva mio figlio.»
Antonia le sfilò gli slip. «Vediamo di farlo uscire, intanto.»
«È troppo presto! Mancano due mesi» gemette la ragazza.
Antonia sollevò le sopracciglia. «Avrei detto meno dalle dimensioni.»
Amber non le rispose, perché una fitta di dolore le fece piegare la testa all'indietro.
Le tastò il ventre e controllò la dilatazione. «Va tutto bene, siamo già a buon punto.»
Il bambino era già incanalato. Il problema era la madre, stava perdendo troppo sangue e la trasformazione non era abbastanza avanzata da consentire alle sue ferite di rimarginarsi.
«Ti prego, fa che sia maschio…» mormorò Antonia.
Solo le donne incinte potevano mutare in dingir e solo i bambini maschi sopravvivevano. Antonia non era in grado di veder nascere una femmina morta, non di nuovo.
«Ascoltami, Amber. Ti chiedo un ultimo sacrificio. Adesso devi spingere.»
A quelle parole, la ragazza reagì e urlò per l'ultima volta. Poi la sua testa crollò di lato.
Antonia prese l’esserino fra le mani e lo avvolse con un lembo del vestito. «Eccoti.»
Era piccolo e pallido, con una zazzera di capelli scuri sulla testa. Non piangeva e Antonia si rese subito conto del motivo: si trattava di una femmina. Tutto ciò che aveva temuto fino a quel momento, si era avverato. Il passato la aggredì, soffocandola con le sue lunghe spire di dolore e senso di colpa. Una morsa le strinse la gola e il vuoto minacciò di inghiottirla.
La mente l’abbandonò, ma l'istinto le consentì di non smarrirsi. L'alba stava per sorgere e presto il sole avrebbe cancellato i resti di quella notte. Doveva andarsene o la luce avrebbe avuto ragione anche di lei.
Eseguì i gesti successivi uno dopo l’altro, mentre il dolore lasciava il posto a un senso di vuoto oscuro e senza via d'uscita. Strappò un lembo del vestito di Amber e lo strinse intorno al cordone ombelicale. Estrasse le zanne e si chinò, tranciandolo di netto.
In quel momento accadde qualcosa che cambiò le regole dell’Universo: la bambina raggrinzì il volto e pianse. Pianse con tutte le sue forze verso il cielo, in quella notte in cui la luce della luna piena era così forte da aver fatto sparire tutte le stelle, celandole dietro un pallido sudario.
Antonia non aveva mai creduto ai miracoli, ma quel quattordici di agosto fu testimone dell'evento più incredibile di tutta la sua non-vita: una bambina era appena sopravvissuta al parto e, da come urlava, aveva tutta l'intenzione di continuare a proclamare la sua esistenza al mondo. La sorpresa, lo smarrimento e l'incredulità si avventarono su di lei in un misto di straziante felicità e dolorosa consapevolezza. La strinse fra le braccia e la baciò. Una marea di emozioni la sommerse, fino a rompere antichi argini. Ringraziò a bassa voce una volta, due, tre, senza saper bene chi o cosa. Intanto, le nuvole si erano dissolte e il chiarore che annunciava l'alba iniziò a diffondersi intorno alla luna, donando al cielo un tenue colore violaceo.
Antonia sentì la voce rompersi, mentre guardava l'astro argenteo nel cielo. «Ti chiamerò Luna.»
Solo in quel momento si accorse delle lacrime rosse che le rigavano il volto. Anche se solo per quell’attimo, si sentì di nuovo parte del mondo, come se la vita avesse ripreso a fluire dal punto in cui era stata interrotta, tanto tempo prima.