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CAPITOLO 11

La porto via da quel palazzo impregnato di morte. Via dai predatori che la braccano. Vorrei trascinarla lontano da tutto questo. Mostrarle altri mondi, lì dove sarebbe al sicuro. Ma non posso, non c’è modo di scappare. Non ancora.
Intorno a noi le persone camminano lungo il marciapiede, bevono aperitivi seduti ai tavoli, si fermano ad ammirare le lussuose vetrine del centro.
Non sanno che succede dietro il velo della loro realtà.

Un universo nascosto dove si consumano delitti, si governano gli equilibri del mondo. Dove pochi influenzano le vite di molti, persone inconsapevoli delle forze che si agitano fra loro.

 «Lilia.»

 Le sfioro la schiena e la faccio fermare all'angolo di una via secondaria, dove una fontana spilla acqua dal suo becco adunco. 

«So cosa stai per dirmi.»

Il suo volto è asciutto, ma nei suoi occhi vedo tutto il male che l'ha assalita. La sua pelle è una tela bianca, sotto alla quale si nasconde una sofferenza che non riesce  - o forse non vuole - mostrare.

«Potrebbero usare mio fratello come esca» prosegue. «Sapevano che sarei andata da mia madre e ora potremmo finire dritti nella tana del lupo.»

«Sì, è così» ammetto.

Siamo nel mirino di gente che non si fermerà finché non avrà ottenuto quello che vuole: lei. E abbiamo poche informazioni. Non so il motivo e non so dare un volto a chi ci insegue.

Scuote la testa, le sue ciglia velano quegli occhi così profondi. «Ma non posso lasciarlo solo, è mio fratello.»

Stringo le labbra. Non vorrei dirle quello che penso, come potrei senza ferirla?

«Parla, Quod. Non fissarmi così.»

Sentire quel nome sulle sue labbra mi coglie impreparato. Sono ancora io? Non più di quanto io sia Emanuele o qualunque altra forma abbia indossato. Quindi non credo che abbia molta importanza. Giusto?

Non lo so, però non riesco a controllare il moto di disagio che mi coglie.

«Emanuele» la correggo.

«Scusa, Emanuele… Va bene.» Si tira indietro i capelli con un gesto nervoso. «Penso che se il loro piano era uccidere tuo fratello, probabilmente lo hanno già fatto. In caso contrario, non morirà finché gli sarà utile per attirarti o per contrattare con te.»

«È vero, ma cosa possiamo fare noi due da soli?»

Annuisco e mi premo le dita sulla fronte. La risposta a quella domanda è: niente. Lo so anche io.

Lei si avvicina alla fontanella e si china per bere. Seguo la linea del suo corpo fino alla punta del mento, inondato dall'acqua fresca. 

«Forse c'è qualcuno che potrebbe aiutarci.» Mi pento nello stesso momento in cui lo dico, ma ormai è fatta.

Si asciuga le labbra con il dorso della mano. «Chi?»

«Altri Velati… Una terza fazione, diciamo.»

Solleva le sopracciglia, sorpresa. «Perchè non me l'hai detto subito?»

«Non è facile averci a che fare. Alcuni di loro hanno una moralità discutibile, altri soffrono gli effetti di un irradiamento finito male.» Mi schiarisco la voce. «E ci sarebbe anche un altro problema.»

Aggrotta la fronte e il suo sguardo sembra volermi leggere nel pensiero. «Ovvero?»

«Conosco la persona che li comanda.»

«Potrebbe essere un bene, no?»

«Potrebbe, ma non in questo caso.»

«È una tua ex?» mi domanda, senza giri di parole.

Mi schiarisco la voce. «Non proprio.»

Aggrotta la fronte. «Si o no?»

Non so davvero come risponderle. 

«È complicato.»

Si prende il labbro fra i denti e riflette per qualche istante. Spero che declini, anche se non so cosa faremo dopo, in quel caso.

«Beh, ci serve aiuto. Non lascio Luca in mano a quella gente.»

Sospiro e annuisco. «Va bene.»

Alzarmi in volo al centro di Roma non è una scelta possibile, quindi siamo costretti a usare i mezzi tradizionali, almeno per un po' 

Anzi, per tutto il tempo, visto che rifiuta il volo fino alla costa. La zona che dobbiamo raggiungere è sul lungomare di Ostia e faremmo molto prima se potessimo arrivarci sulle mie ali.

Comunque decido di non insistere, il suo umore si è incupito e si è chiusa in un ostinato mutismo che spezza solo quando passiamo accanto alle rovine romane di Ostia.

«Hai mai vissuto nell'antica Roma?» mi domanda, facendo un cenno verso i resti che si stagliano sotto il sole di Ottobre.

«Per un breve periodo.»

«In pratica sei un vecchio di migliaia di anni in una forma di ragazzo.»

Non so se ridere o disperarmi, perché lo dice come se guardasse una specie di mostro. In fin dei conti sono questo, giusto? Uno scherzo informe sempre in cerca di qualcosa che non raggiungerà mai.

«Evolvo lentamente rispetto a voi. Non sono molto più grande di come mi vedi, in realtà. In un ordine di grandezza umano… non credo arriverei ai trent'anni.»

Mi rifila un sorriso tagliente. «Cioè, quando io sarò adulta penserò che sei un ragazzotto stupido?»

Se era una stilettata, la sento tutta. 

«Probabile» mi limito a replicare.

Scrolla le spalle e aumenta il passo. Il suo cambio d'umore pesa come un macigno nel mio cuore. Ormai, però, ho abbastanza esperienza per sopportarlo. In altri tempi mi avrebbe fatto impazzire, forse l'avrei persino aggredita per il terrore di perderla. Ho già commesso questi errori, non capiterà di nuovo.

Prendiamo l'ultimo autobus verso la costa e la raggiungiamo in una ventina di minuti. La vista dell'orizzonte marino ha sempre avuto un effetto potente su di me. Lo sguardo che si perde nella vastità dell'oceano trasforma le mie preoccupazioni in pensieri fuggevoli, come onde che si infrangono sulla spiaggia.

«Manca molto?» mi domanda Lilia, lanciandomi uno sguardo di sfuggita.

«No, ci siamo quasi.»

Un centinaio di metri a piedi e raggiungiamo l'entrata di una magnifica villa in riva al mare, isolata e ben protetta da alte mura.

«Qui?» Lilia solleva le sopracciglia, seguendo le linee del cancello. 

Attraverso le sue sbarre dorate si intravede un giardino rigoglioso e profumato.

Annuisco. «Questa è... la residenza principale, diciamo.»

«Residenza? Nemmeno parlassimo di una regina.»

Non mi sfugge il tono acido con cui lo dice, ma scelgo di non replicare. Noto una telecamera di sorveglianza, so che non dovremo aspettare a lungo. Sono già stato qui negli ultimi due anni, ma non ho svelato la mia identità. Stavolta non avrò scelta, se vorrò essere ricevuto.

Un sibilo precede la voce che parla dal piccolo altoparlante incastonato nel muro.

«Annuncia la tua presenza.» Non sento parlare quella lingua da molto tempo. 

«Che ha detto?» mi chiede Lilia, sospettosa. «È rumeno?»

«No, greco antico.»

Spalanca gli occhi. «Scherzi?»

«No.» Mi sporgo verso il microfono e recito nella stessa lingua: «"Lui solo invece, desideroso del ritorno e della moglie, tratteneva la divina ninfa Calipso, splendida tra le dee, in grotte incavate, desiderando che fosse suo sposo."»

«Per la miseria» mormora Lilia. «Che cos'era?»

«Odissea, libro quinto.»

«Studi parecchio, tu.»

Un attimo dopo, il suono secco del cancello che si apre risuona nel silenzio rotto solo dalle onde del mare. Avanziamo sul viale di ciottoli candidi. La vegetazione esotica e i profumi dei fiori dalle tonalità accese saturano l'aria e mi ricordano un tempo lontano.

Un'isola impregnata del profumo del mare e una pelle liscia, irresistibile come la marea sotto l'argentea luna.

«E dove sarebbe la regina?» Lilia incrocia le braccia.

Oltre il giardino, un colonnato percorre un lungo corridoio decorato con marmi e affreschi di incredibile bellezza.

Mi appoggio l'indice sulle labbra. «Qualunque cosa accada, non ti muovere, non parlare.»

«Certo, come no. Pensi che io...»

Quando una decina di uomini in completo nero emergono dalle verdi foglie che ci circondano, le parole le muoiono in gola. I loro occhi sono coperti da occhiali scuri e tutti impugnano una pistola.

Ci conducono di fronte a un'ampia vasca d'acqua che comunica direttamente con il mare. Le pietre vulcaniche le danno una forma irregolare, come se fosse stata creata dalla natura, più che dalla mano dell'uomo. Intorno, il giardino brilla di un verde difficile da vedere altrove. Le palme che ondeggiano nella brezza salmastra formano giochi di luce eterei, sussurri di una terra lontana da cui provengono.

Alcune forme aggraziate emergono dall'acqua calma e splendide giovani avanzano, coperte di veli impalpabili che nulla lasciano all'immaginazione. Capelli biondi o scuri, persino rossi. Sfiorano con piedi nudi il prato morbido sussurrando fra loro con sguardi affilati, forse pregustando la fine che ci spetta per quell'intrusione. Creature meravigliose e crudeli, il cui fascino potrebbe far capitolare l'uomo più retto. Eppure nulla, di fronte alla donna che incede fra loro.

Una dea dal volto di porcellana e gli occhi più azzurri del cielo. Capelli così chiari da sembrare bianchi, fini e lucenti come seta, labbra come quelle di una rosa.

Indossa una tunica dai riflessi cangianti che esalta la sua bellezza disarmante. Nessun essere umano potrebbe posare gli occhi su di lei e restarne indenne. Lo vedo nello sguardo di Lilia, immobile come una statua, di fronte a quell'apparizione ultraterrena.

«Chi disturba Calipso nella sua dimora?» domanda in greco, con voce melodiosa. «O forse dovrei saperlo?»

Pronuncia il proprio nome con l'accento sull'ultima vocale, come accadeva al tempo, ormai perduto, in cui l’ho conosciuta.

Le rispondo nella stessa lingua. «Siamo qui a chiedere il tuo aiuto.»

Mi si avvicina e mi scruta, abbassando le ciglia sugli occhi come pezzi di acquamarina.

«Se sei qui, conosci di me più di quanto il tuo aspetto mi lascia immaginare. Così come i versi che osi recitare. Chi sei, mortale?»

Calipso avvicina il proprio volto al mio, il suo profumo marino mi avvolge e devo fare appello a tutta la mia volontà, per non farmi trascinare via dai ricordi. 

«Demetrio.»

La mano saetta verso la mia gola e le sue labbra scoprono i denti candidi in una smorfia d'ira covata per lunghi millenni. Me l'aspettavo, ora devo solo sperare che non mi uccida.

«Come osi presentarti al mio cospetto, cane traditore?»

Mi spinge verso il basso, costringendomi in ginocchio. Con la coda dell'occhio vedo Lilia avanzare d'un passo, ma sollevo una mano per impedirle di andare oltre. Le guardie si sono allontanate, ma so che potrebbe andare a finire male in un attimo.

«Va tutto bene» la rassicuro. 

Calipso assottiglia lo sguardo. So che quel gesto non le è passato inosservato.

«Ma non sei solo, a quanto vedo.» Stavolta parla in un perfetto italiano.

Lascia la presa su di me e le si avvicina. 

«Posso sapere il tuo nome, mia giovane amica?»

La ragazza stringe gli occhi come se volesse trafiggerla. «Lilia e non sono tua amica.»

Abbasso le palpebre, pregando che Calipso  non reagisca nel peggiore dei modi. Per fortuna, non sembra essere il caso.

La dea riempie l'ambiente della sua risata cristallina. «Eppure sei qui per chiedermi aiuto, ho sentito.»

Lilia fa un passo indietro. «Forse abbiamo sbagliato.»

«O forse no. Ma devo scusarmi per i miei modi avventati.» Calipso mi fa segno di rialzarmi, poi solleva il braccio candido verso l'entrata della sua dimora. «Vi prego di accettare la mia ospitalità. Rinfrescatevi, godete della mia tavola. Poi parleremo.»

Lilia mi lancia uno sguardo dubbioso, ma io annuisco. So che se ne andrebbe molto volentieri, ma ha il buon senso di non rifiutare. 

La perdo di vista subito dopo aver attraversato il colonnato, rapita dai mille veli delle ninfe. Mi preoccuperei, se non avessi visto la scintilla della curiosità nello sguardo di Calipso. So che non le accadrà niente finché non avrà saputo tutta la storia. E anche dopo, non potrà fare altro che offrirle il suo aiuto. O almeno spero.

Lei è una dei pochi altri nativi che io abbia mai conosciuto. Dotata del potere dell'immortalità e di un fascino che non può essere solo frutto della sua bellezza, ha attraversato i tempi con la grazia di una Musa, la lungimiranza di una civetta e la crudeltà affilata di una lama rovente.

Sono questi i pensieri di cui mi nutro, mentre mi aggiro senza posa nella splendida stanza affrescata in cui sono prigioniero. Devono passare ore, prima che Calipso appaia sulla mia soglia.


Editing: Priscilla Gullotta (Instagram @libriacuorleggero)


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