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CAPITOLO 13

Da quando non dormivo così bene? Da mai, tipo. Me l'ero sempre immaginata catastrofica la mia prima volta, al punto che avevo pensato persino di togliermi il pensiero col primo che capitava.
Invece, anche se sono un po' indolenzita, è stata un sogno. Mi stiro come una gatta fra le lenzuola e osservo i meravigliosi affreschi che richiamano la natura e il paesaggio marino.
Tutto così bello, ma basta un attimo per cadere nel panico.

I ricordi della terribile mattinata di ieri mi assalgono e, come se non bastasse, non vedo Emanuele in nessun punto della stanza. Mi sollevo di scatto su un gomito nel momento in cui entra con un vassoio pieno di dolci. Chiude la porta con il piede e si avvicina.

«Dov'eri?» gli domando, senza riuscire a nascondere l'apprensione.

«Scusa, ho pensato che volessi fare colazione.»

«Non devi mai scusarti quando mi porti del cibo.» Agguanto sia un dolce all'amarena che un bicchiere di latte. «Hai dormito? O non devi fare nemmeno quello per vivere?»

Appoggia il vassoio su un tavolo di quercia, intarsiato con motivi di foglie e rampicanti. «Nemmeno quello.»

«Allora che hai fatto mentre ero svenuta sul letto?»

Si siede su una poltrona accanto alla finestra e svapa un po' di vapore dalle labbra.

«A parte guardarti? Ho sistemato le cose in sospeso con Calipso.»

Sto bevendo un sorso di latte, ma per poco non mi va di traverso.

«In sospeso?»

Il suo sguardo si fa affilato, di nuovo noto una sfumatura diversa della sua personalità. Vendicativa, direi.

«Che non si azzardi a sbagliare una parola con te. Posso essere un problema per lei e stai certa che lo sarò, se oserà rendere la tua vita meno che perfetta.»

Accenno un sorriso un po' incerto. «Come l'ha presa?»

«Come mi aspettavo: sul serio.»

Addento il dolce, beandomi della sua delizia. Forse per questo ho il coraggio di fargli una domanda a cui non so se voglio una risposta.

«Eri innamorato di lei?»

Accavalla le gambe e distende la schiena sulla poltrona.

«No. Amavo un ragazzo, all'epoca.»

«Davvero? Come si chiamava?»

«Hermes.»

Aggrotto la fronte. «Hermes... Hermes?»

«Mh, mh. Proprio lui, il messaggero degli dei.»

Mi scordo persino di infilare in bocca il dolce. «Non ci posso credere, vuoi dire che esistevano davvero?»

«Per quanto rari, i nativi sono sempre esistiti. Lui poteva valicare lo spazio in un battito di ciglia, da lì il mito dei piedi alati» risponde esalando una nuvola di vapore. «Zeus gli chiese di informare Calipso dei suoi ordini, ma lei rifiutò di lasciar partire Odisseo per Itaca. Allora Hermes mi chiese aiuto e io accettai: finsi di essere Odisseo per fare in modo che lui tornasse da Penelope.»

«Ora capisco perché è così arrabbiata con te. Ma aspetta un attimo... Anche Zeus era un nativo?»

Annuisce e rimette la sigaretta elettronica in una tasca. «Sì. Ti dice niente la storia dei fulmini?»

«Ed erano tutti immortali?»

Lancia uno sguardo al giardino che si intravede dalla finestra. «Finché qualcuno non li uccideva, sì.»

Finisco di mangiare e mi lascio cadere sui cuscini.

«Pazzesco. Pensi che anche io... voglio dire... Che anche io non invecchierò?»

Piega un angolo della bocca e mi rivolge un'occhiata obliqua.

«Lo sapremo solo vivendo, immagino.»

Mi scosto i capelli dal volto, infilandoci le dita e rimanendo così per qualche istante.

«Com'è finita con Hermes?»

Un ombra attraversa il suo volto, ma dura solo un attimo. «È finita con la mia morte. Sono stato assassinato.»

Spalanco gli occhi. «Assassinato? Da chi?»

Emanuele accenna una risata e si alza. «Come posso saperlo? Io ero quello morto.»

«Cavolo, e non hai cercato vendetta?»

«Se dovessi vendicarmi di tutti quelli che mi hanno ucciso... Ci passerei l'eternità.» Si viene a sedere accanto a me e mi accarezza una guancia con le dita.  «Ma se mi capitasse l'opportunità, ammetto che me la godrei.»

Il suo tocco è così dolce che premo la mia mano sulla sua e mi abbandono a un sospiro.

«È brutto morire?»

«Abbastanza. Specialmente se ti uccidono a tradimento.»

Abbasso lo sguardo, cosa avrà provato mia madre? Forse non se n'è nemmeno accorta. È successo solo ieri, ma mi sembra un evento lontano nel tempo. Lei stessa mi sembra lontana. Forse perché quella donna non aveva niente a che fare con la persona che conoscevo. Era davvero lei? A questo punto non sono più sicura di niente.

«Che succede dopo? Dopo la morte, intendo.»

Lui inclina la testa e il suo sguardo si perde altrove. «Posso risponderti per me. A dire la verità... non molto, la maggior parte delle volte posso decidere dove riapparire. È come cadere all'interno del fotogramma di un film.»

Quella conoscenza è qualcosa per cui chiunque pagherebbe oro. Non smetterei mai di fargli domande.

«Perchè a volte non puoi scegliere?»

Scrolla le spalle. «Non lo so con certezza, accade tutto in un attimo.»

«Pensi che anche agli esseri umani accada qualcosa di simile?»

Ci riflette un po', prima di rispondermi.

«Credo di sì, ma voi non ricordate le esistenze precedenti, di solito. E ricominciate sempre dall'infanzia, a differenza di quelli come me. Forse per questo evolvete così in fretta: è come se fosse sempre la prima volta.»

Sorrido e percorro il suo avambraccio con l'indice. «Allora, forse ci siamo incontrati anche in altre vite.»

Anche lui sorride, scoprendo i suoi denti perfetti e approfondendo la fossetta sulla guancia.

«Non ne sarei stupito.»

«Magari ero Hermes» azzardo.

Scoppia a ridere. «Oh, no. Non credo, lui era fuori di testa. Lo adoravo per questo.»

Sporgo le labbra in un broncio. «Sto per ingelosirmi, ti avviso.»

«Non ne hai motivo.» Mi bacia sulle labbra e poi sulla fronte. «Sono qui, con te.»

Il profumo della sua pelle e quel contatto così caldo, mi fanno venire voglia di averne altri. Cerco di darmi un contegno e mi schiarisco la voce.

«Ce ne sono molti della tua specie? Ultima domanda, promesso.»

«Non so quanti. Io non ne ho mai incontrati» risponde, prendendo un dolce e addentandolo.

Gli lancio uno sguardo sospettoso. «Non hai detto che non ti serviva mangiare?»

«Non mi serve per vivere, ma ha il suo perché» specifica, a bocca piena. «E comunque, è un'altra domanda.»

«Hai ragione.» Scendo dal letto e mi infilo in bagno. «Dammi cinque minuti e sono pronta.»

Per cosa, non lo so ancora. Credo che dovremmo guardare dentro l'hard disk che abbiamo trovato nell'ufficio di mia madre. Dopo quindici minuti torno presentabile e decido che è ora di uscire e affrontare la vita.

«Eccomi!» annuncio, tornando nella stanza.

Lo trovo con Calipso e un moto di fastidio mi assale. Parlano a bassa voce accanto alla finestra ma, quando si accorgono di me, smettono. Il che peggiora il mio umore.

«Il fatto che sia casa tua, non ti autorizza a entrare qui senza chiedermi il permesso» sibilo, avanzando verso di loro.

Non nascondo il mio nervosismo e non me ne importa niente se diventa un incidente diplomatico.

Calipso solleva le belle sopracciglia sui suoi occhi ancora più magnifici. Indossa una lunga veste lilla che le lascia scoperte le spalle delicate e la pelle marmorea.

«Mi scuso, ma devo contraddirti. Ho chiesto e ottenuto il permesso di entrare. Demetrio, qui, lo può confermare.»

«Emanuele» la corregge lui.

La dea fa un mezzo sorriso e si scosta i lunghi capelli chiari su una spalla. «Preferivo l'originale, ma come vuoi. Emanuele sia.»

«Di che parlavate?» domando, a bruciapelo.

È lui a rispondere. «Stanotte sono riuscito a entrare nell'hard disk.»

Un brivido mi percorre la parte bassa del collo, facendomi rizzare i capelli sulla nuca. «Non potevi aspettarmi?»

Aggrotta le sopracciglia. «Perchè? Ti ho risparmiato ore di tentativi, Lilia.»

«Che per me sarebbero stati minuti» replico, indispettita.

Calipso fa risuonare la sua risata cristallina

«Ha carattere, ora capisco perchè ti piace.»

La guardo come se potessi incenerirla. «Puoi evitare di parlare come se non fossi presente?»

Emanuele mi poggia le mani sulle spalle e mi guarda negli occhi. «Va tutto bene, dammi solo il tempo di spiegarti. D'accordo?»

Sbuffo, ma alla fine gli faccio cenno di proseguire. Mi porge il suo cellulare e lo sblocca.

«Ecco i documenti che ho recuperato, leggili.»

Li scorro uno dietro l'altro e le informazioni si conficcano nella mia mente come frecce infuocate. Sono dossier su di me, tutta la mia vita è stata documentata a mia insaputa. Salute, scuola, sport, ogni altro genere di prestazione. Parla anche di "sessioni di preparazione" e "test finali", ma non capisco a cosa si riferisca. Su tutti è presente il logo della Sfinge, la società per cui lavorava mio padre.

«Cosa se ne faceva mia madre di queste informazioni?» domando, sforzandomi di far funzionare la lingua.

«Inviava tutto a un indirizzo email criptato» mi spiega.

«Criptato? Che significa?»

«Impossibile da decifrare senza la chiave giusta» risponde.

La mia mente mi fornisce una serie di collegamenti che mi fanno girare la testa. Mi appoggio una mano sulla fronte. Ho bisogno di fare ordine fra tutte le cose che ho scoperto fino adesso. Prendo ad aggirarmi nella stanza, riflettendo ad alta voce.  

«Mio padre aveva interesse a tenere sotto controllo la mia evoluzione. Se lei li invia a qualcun altro... Significa che sapeva tutto, forse era persino complice.» 

Calipso si liscia una ciocca di capelli. «Ma faceva il doppio gioco. Passano i secoli, ma certe cose non cambiano mai.»

Emanuele annuisce. «E c'è solo un'altra società che vorrebbe questi documenti.»

Sgrano gli occhi, mentre i pezzi vanno al loro posto. «La Truesight!»

«Tua madre deve essere stata uccisa dagli uomini della Sfinge quando la sua attività di spionaggio è stata scoperta» conclude Emanuele. «Per questo sei nel mirino di entrambe le società.»

Abbasso di nuovo lo sguardo sul piccolo schermo. Nella riga che cita l'origine del mio DNA c'è una striscia nera che impedisce di leggere cosa ci sia scritto sotto. 

«Non sono i miei veri genitori» mormoro. «Nessuno dei due. Recitavano una parte.»

Forse per questo non ho pianto per loro, forse una parte di me lo ha sempre saputo. Mi siedo sul bordo di una poltrona. La schiena eretta e le mani abbandonate sulle gambe. Osservo il cellulare, ma non vedo più cosa c'è scritto.

Che cosa c'è di più orribile di questo? Sono cresciuta fra estranei.  Non gli interessava di me, a nessuno dei due. Ero solo una cavia da osservare, registrare e, probabilmente, utilizzare.

«A che gli servivo?» chiedo, con un filo di voce. «Non posso far esplodere città, né volare, né leggere nel pensiero o manipolare le menti. So solo ricordare, nient'altro.»

Emanuele si inginocchia davanti a me e mi sfiora i polsi.

«Non conosci ancora i tuoi limiti, ma hai ragione. Dobbiamo scoprire cosa avresti dovuto fare e perché cancellare quella lista alla stazione era così importante per tuo padre.»

«E perchè si è fatto credere morto» aggiungo.

Calipso si sfiora le labbra, pensierosa. «Il suo posto è stato preso da Valen Arnaud, l'ex responsabile della sezione Ricerca e Sviluppo della Sfinge. Potrebbe saperne qualcosa. Ma non posso intervenire in via diretta.»

«Anche tu sei una nativa. Perché la Truesight e la Sfinge ti lasciano stare?» le domando, restituendo il cellulare a Emanuele.

La dea arriccia l'angolo della bocca in un sorrisetto. «Lo vedrai stasera.»

Non capisco cosa intende, ma ho troppo a cui pensare per approfondirlo. Trascorro il resto della giornata con Emanuele, almeno finché non mi addormento. Troppe emozioni, troppo tutto.  Quando mi sveglia, mi avvisa che stiamo per lasciare la dimora di Calipso. Mi stropiccio gli occhi e osservo il cielo che si è già tinto dei colori del tramonto. Ho un po' freddo e mi stringo le braccia intorno al corpo. Mi sono appisolata su una sdraio davanti alla piscina e ora sto gelando.

Sbadiglio. «Adesso?»

Impegno tutta la mia forza di volontà per alzarmi, ma quando Emanuele mi abbraccia, mi sciolgo nel suo calore.

«Non stai bene?» mi sussurra, appoggiandomi una mano sulla tempia.

Mi lascio andare contro di lui e sospiro. «Ora sì.»

«Sicura?»

«Sì, davvero. Dove andiamo?»

«Nella nuova versione di Ogigia.»

Sollevo lo sguardo per trovarmi il suo sorriso a un respiro di distanza dalle mie labbra.

«Un'isola?» gli domando, sorpresa.

«Credo si possa definire così. Stai tranquilla, farò in modo di tenerti al sicuro.»

Mi sollevo sulle punte e lo bacio. «Con te non ho paura di niente.»

Mi stringe più forte e scende sul collo con le labbra. Stavolta i brividi sono bollenti e trovo di nuovo la sua bocca. Schiudo le labbra e lo assaporo, persa nella morbidezza del suo tocco.

«Così non andiamo da nessuna parte» mi sussurra, appoggiando la fronte sulla mia.

«Potrebbe essere un'idea. Andiamo via e dimentichiamoci di tutto.»

Mi accarezza il volto e mi scosta i capelli dietro l'orecchio.

«Non saresti mai libera. Costretta a guardarti sempre le spalle e a cancellare i tuoi passi ovunque si posino.»

Sospiro e annuisco. «Lo so.»

La consapevolezza della mia situazione mi opprime, ma lui ingabbia il mio sguardo. I suoi occhi hanno il colore del crepuscolo, stasera.

«Ne usciremo, d'accordo?»

Annuisco, ma non ci credo. «Sì, certo.»

Mi stringe a sé un'ultima volta, poi lasciamo il giardino di Calipso.


Editing: Priscilla Gullotta (Instagram @libriacuorleggero)


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