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CAPITOLO 15

Non so dire se sono finita in paradiso o all'inferno. Ho seguito Calipso nel suo regno sotterraneo e, appena attraverso l'arco che ci conduce a una piattaforma sopraelevata, la musica mi colpisce come un muro sonoro. Sono nella la più grande discoteca che abbia mai visto.

Le luci stroboscopiche illuminano la struttura e mille ombre indistinte danzano sui muri di pietra. Le note ritmate della techno sono così potenti che riesco a sentire la vibrazione nel petto. Una donna con la pelle di serpente si avvolge intorno a un palo, ancheggiando sinuosa. Sull'altro lato della pista, un uomo con le ali di pipistrello volteggia per poi tuffarsi sulla folla a una velocità folle. Intanto, un gruppo di ballerini che sembra abbiano sviluppato degli arti aggiuntivi si muovono in modo fluido, disumano. Mi pare di assistere a una celebrazione carnevalesca e spaventosa.

«Mio dio...» mormoro, aggrappandomi alla balconata metallica.

Mi sento sbalzata in un'altra dimensione, dove il tempo e lo spazio sono sfumati. Il luogo stesso sembra pulsare di energia, con una miscela eterogenea di culture, stili, e personalità che si fondono in un ambiente fuori dal mondo.

«Ecco la mia gente.» Calipso ride e incede su un piedistallo sul quale esplode una luce accecante. 

Allarga le braccia e la sua presenza fa esplodere gli animi in esultanza e devozione. 

Cerco la mano di Emanuele. «Ma che cos'è...questo?»

La sua risposta non arriva subito e sollevo lo sguardo verso di lui. Il suo volto sembra intagliato nella pietra. Le labbra sono una linea netta, percorsa da innumerevoli frecce luminose. Tiene gli occhi fissi sulla marea che si agita una decina di metri sotto di noi.

Gli strattono il braccio. «Ehi, tutto bene?» 

Si scuote e si avvicina al mio orecchio. «Vuoi sapere cos'è? Una galera.»

Aggrotto la fronte. «Cosa?»

«Tutte queste persone sono scarti della Sfinge» risponde. «Gente con mutazioni inutili, dannose o troppo evidenti per essere nascoste.»

«E li tengono qui? Rinchiusi?»

Annuisce, il volto pallido e teso. «Ne avevo sentito parlare, ma vederlo è un'altra cosa. A volte vengono usati per incarichi estremi, in cui la loro morte non provoca perdite economiche o di immagine.»

Un terribile collegamento mi fa schizzare il battiti cardiaco alle stelle. «Quindi Calipso lavora per la Sfinge? La stessa società di mio padre?»

«Lavora per il miglior offerente. Probabilmente tutti questi Velati sono già stati schedati dalla Truesight, grazie a lei. Il che li rende ancora più inutili. Mi stupirebbe vederne tornare qualcuno vivo da un incarico.»

«Almeno qui dentro e non danno fastidio a nessuno» commento, senza pensarci troppo.

Il suo sguardo mi trafigge e alza la voce più di quanto sarebbe necessario per farsi sentire in quella bolgia. «Certo, basta buttarli in questo buco e gettare la chiave, giusto? Così la facciata è salva, la società può dormire sonni tranquilli.»

«Non è quello che intendevo!» ribatto, innervosita da quello scatto. 

Solleva le labbra in una smorfia. «Oh, almeno abbi il coraggio di ammetterlo.»

Stringo i pugni e mi sporgo verso di lui. «Ma si può sapere che ti prende? E comunque se se ne andassero in giro senza controllo sarebbe peggio, prova a dimostrarmi il contrario.»

«Tu non hai idea. Non sai che cosa significa essere chiusi in un maledetto inferno.»

Schiudo le labbra e la mia irritazione svanisce all'istante. «Scusa, non avevo idea che fosse successo anche a te.»

«In tal caso il tuo giudizio cambierebbe?» Accenna una risata amara. «Potrei essere chiunque di questi disgraziati. E sì , lo vuoi sapere? Lo sono stato. Non so nemmeno per quanto tempo. Così tanto che non sono più riuscito nemmeno a contarlo.»

«Mi dispiace Emanuele, non...» Faccio per appoggiargli una mano sul collo, ma il suo aspetto è cambiato e mi ritraggo.

Ora è un giovane riccioluto con il volto spruzzato di lentiggini. Il suo aspetto sarebbe piacevole se non avesse quella luce di follia nello sguardo.

«Quod» sibila, facendomi arretrare di un passo. «Non ricordi il mio nome?»

«Mi stai spaventando, ti prego. Basta.»

La sua espressione cambia, come se uscisse da una specie di trance. Spalanca gli occhi e si appoggia una mano sul petto. Sussurra qualcosa che non riesco a sentire, forse un imprecazione. Torna a essere Emanuele e afferra il corrimano metallico.

«Lilia, scusa.» Si inumidisce le labbra e chiude gli occhi per qualche istante.  «Dammi un attimo.»

Non riesco a muovere un muscolo. L'ho visto mutare in creature mostruose, ma non ho provato quel gelido distacco. Non riconoscerlo è stato un colpo che non è facile da attutire.

Inspira e solleva una mano. «A volte capita che le mie emozioni controllino la mia forma.»

«Non volevo farti soffrire o... arrabbiare. A volte mi dimentico cosa... chi sei.»

Non so se ho peggiorato la situazione, forse sì, visto che distoglie lo sguardo e fa un passo indietro.

«Ho bisogno di stare solo, scusa.» 

Solleva una mano come se volesse scacciare da sé quelle parole, poi mi dà le spalle e si allontana.


***


«A quanto pare, i tuoi nuovi amici hanno qualche problema di coppia, Calipso.»

Il ragazzo si scosta i ricci neri dalla fronte. Le sopracciglia scure sottolineano gli occhi di smeraldo, resi evidenti dalla pelle diafana. Il naso dritto, la mascella definita e le labbra carnose gli concedono una rara bellezza. Indossa una camicia  bianca su un paio di pantaloni di pelle neri in un contrasto che esalta quello della sua carnagione.

Gli faccio scorrere le dita sul braccio liscio. «Ne hanno di peggiori.»

Non che la cosa  mi provochi particolare apprensione, ma la ragazzina può darmi molte soddisfazioni. Avrei voluto scoprirla io, così non mi sarei trovata il mutaforma fra i piedi. A tutto c'è rimedio, però.

Il giovane affonda gli occhi nei miei. «Sai che non so resistere alla curiosità, mia dea.»

«Le curiosità si pagano...»

Lui piega un angolo della bocca e inclina la testa. «Immagino che tu non mi abbia convocato per offrirmi solo diletto.»

Sollevo il mento, avvicinando le labbra alle sue. «Invece...»

Il ragazzo abbassa le ciglia scure come un felino. «Mi stai facendo soffrire, ma so che la pietà non è la tua dote migliore.»

Scoppio a ridere. «Oh, caro, tu si che mi conosci. Sai che, se potessi, ti farei patire le pene dell'inferno.»

Giuro che è vero, lo ucciderei. I nostri trascorsi sono stati troppo orribili per poter essere dimenticati. 

Mi sfiora la guancia con il dorso delle dita. «Ma purtroppo ti servo...»

«Come a tutti.»

Il giovane mi rifila un sorriso affilato e abbassa la mano, poi si volta di nuovo verso Lilia.

«Allora, Calipso.La ragazzina è la tua fissazione attuale?»

«Molto di più, lei è la fonte della mia libertà.»

Lui solleva le sopracciglia. «Questo è molto interessante.»

Gli appoggio due dita sotto il mento, facendo in modo che mi guardi negli occhi.

«Ma ho qualcosa di meglio per te.»

Si inumidisce le belle labbra definite. «Ti prego, non costringermi a inginocchiarmi per saperlo.»

«Sono tentata, ma sarebbe una misera soddisfazione.»

«E allora cos'altro vuoi?»

«Lo saprai a tempo debito.»

Aggrotta la fronte. «Non ti dirò niente su Zeus.»

Solo sentire quel nome mi fa rizzare i capelli sulla nuca. Incarna tutto il mio odio, ogni fibra del mio essere ne brama la fine, ma non posso nemmeno osare competere con il signore degli dei. Non ancora.

«Lo so. Dopotutto rimani un servo, ma io resto una persona generosa...»

«Sto aspettando, Calipso.»

Mi avvicino al suo orecchio. «Il ragazzo... Demetrio.»

Hermes fa scattare il collo all'indietro, schiude le labbra e resta immobile. Sembra davvero una statua, in questo momento.

«Lui? Stai scherzando.»

«Ti piacerebbe se scherzassi?»

«Calipso, sono serio. Se questo fa parte della tua vendetta per la storia di Odisseo...»

Questa conversazione mi provoca un formicolio proprio sopra l'ombelico. Molto piacevole.

«Quella arriverà fra un attimo, quando ti dirò che è innamorato della ragazza.»

Hermes resta immobile, ma posso vedere tutte le emozioni che attraversano i suoi occhi. Sorpresa, risentimento, desiderio.

«Come fai a dirlo? Che è innamorato, intendo.»

«Solo un cieco non lo vedrebbe.»

Mentirei a me stessa se mi stupissi della reazione, dopotutto è quello che volevo provocare.

Distoglie lo sguardo e preme le mani sulla barra di metallo di metallo di fronte a sé. Il suo sguardo rimane immerso nella folla danzante così a lungo che sono tentata di lasciarlo a consumarsi nella gelosia.

Poi parla di nuovo. «Non credo a una parola di quello che dici.»

Pensavo di aver raggiunto le vette del piacere e invece me ne resta ancora. Ne sento il sapore sulla lingua ancora prima di replicare.

«No? Verificalo tu stesso, allora.»

Stringe gli occhi come se volesse incenerirmi e, un attimo dopo, svanisce lasciando dietro di sé una lieve brezza. Di certo lo andrà a cercare e darei qualunque cosa per gustarmi la scena. Ma dovrò accontentarmi di un altro tipo di crudeltà, purtroppo.

Inspiro profondamente e lascio che le mie ragazze mi si avvicinino. Come farfalle su un fiore mi sfiorano con i movimenti dei corpi profumati, seguo quel volo sensuale, in una danza che esalta il godimento che ho appena provato. Mi concedo ai loro tocchi delicati, alle labbra calde, ai brividi dei capelli che mi sfiorano spalle. Sapevo che sarebbe stata una serata meravigliosa, ma perchè non renderla perfetta?

«Vogliamo vedere un po' di sangue?»

 Le farfalle battono le mani, ridacchiano e mi beo della luce malevola che appare nei loro occhi. All'unisono, iniziano a invocare il Nexus e, poco a poco, tutta la platea fa lo stesso. La folla si ammassa ai lati della sala e molti salgono sulle gradinate e iniziano a invocare il nome dei loro campioni preferiti. Uno su tutti emerge dalle loro gole assetate, dalla bramosia che gli incendia i volti.

Yaku, Yaku, Yaku.

Allargo le braccia e la folla si zittisce all'istante. «Abbiamo il primo sfidante.»

Non che mi aspettassi un nome diverso, lo ammetto. Accarezzo lo sguardo il prescelto che avanza verso di me.  Il giovane peruviano è di statura media, slanciata e atletica. Le luci si riflettono sulla sua carnagione calda e olivastra, i tratti esotici che tradiscono l'origine mista delle sue radici. Il suo viso è simmetrico e ben definito. La sua mascella forte, squadrata, gli conferisce un aspetto deciso e virile.  I capelli neri e corvini, spessi e leggermente ondulati, cadono con eleganza intorno al suo viso. Gli occhi, di un marrone intenso, restano puntati nei miei, mentre si inchina.

Adoro la regalità con cui lo fa, chi direbbe che lo hanno trovato in una foresta a difendersi dopo che un giaguaro ha ucciso la sua famiglia? Nonostante avesse solo otto anni, aveva cacciato da solo, sopravvivendo dove altri sarebbero morti. 

Per questo, nonostante non fosse più un infante, la Sfinge aveva deciso di irradiarlo. Il rischio era che morisse, il che non sarebbe stato certo un problema per un orfano che nessuno avrebbe mai reclamato. Non potevano immaginare che sarebbe stato del tutto immune al condizionamento mentale. Il che lo aveva reso inutile nel migliore dei casi, dannoso nel peggiore.

Tutto a mio vantaggio, visto che è uno degli assassini più letali su cui posso contare. Un portatore di morte senza rimorsi, senza etica, né legami.

Yaku impugna l'arma che tiene sulla schiena. La pukah, una lancia con una lama a forma di luna crescente, brilla di un riflesso letale. Con l'altro braccio, si sfila il poncho colorato, rivelando la muscolatura tesa sotto la pelle ambrata. 

Gli faccio un cenno di assenso e il guerriero avanza verso il centro della pista. Rimane immobile per qualche istante, poi solleva la lancia e il silenzio viene interrotto da un'esplosione di urla estatiche.

Stanotte la mia gente non vuole un duello, vuole un massacro. E la scelta di chi lo sfiderà non fa che confermarlo.



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