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CAPITOLO 17

Non ricordo da quanto tempo non mi succedeva. Credevo di avere abbastanza esperienza, ormai. Invece no, ho sopravvalutato la mia capacità di controllarmi, di dominare le personalità che appartengono a ognuna delle mie forme.

Tuffo la faccia sotto il getto freddo che sgorga dal rubinetto dorato. È simile a un arco, incuneato nella pietra nera. Calipso non ha rinunciato alla bellezza nemmeno in questo posto. I lavandini sono vasche ovali levigate e opache. La luce blu-verde che proviene da alcuni neon nascosti in scanalature sul soffitto esaltano una parete di vetro, oltre la quale si intravede il fondale marino. La parete opposta, invece, è uno specchio che fa apparire la sala da bagno molto più grande di quello che è.

Al momento è deserta. A quanto pare i mutanti sono impegnati in qualcosa di più entusiasmante che accoppiarsi in bagno. Posso sentire le urla, così esaltate da superare persino la musica. Inspiro e appoggio le mani sul lavandino, nel tentativo di scrollarmi di dosso quello che è appena accaduto. Non mi sento ancora stabile al punto da potermi presentare davanti a Lilia senza perdere quel poco di dignità che mi è rimasta.

L'ho visto come mi ha guardato, non sono umano, non lo sarò mai per lei. Non lo sarò mai nemmeno per me stesso. Questa è la verità. Chiudo gli occhi. Il caos che ho dentro è niente rispetto alla bolgia infernale che si dimena oltre il corridoio.

«Pare che qualcuno sia tornato dall'Ade.»

Quella voce. No, non questo, non lui. Non sono in grado di sopportarlo. Non riesco nemmeno a voltarmi. Ma so che non sarà questo a fermarlo.

In un battito di ciglia, vado a finire contro il vetro trasparente. Le labbra di Hermes sulle mie, il profumo di un altro tempo. Di un altro me. Gli prendo il volto fra le mani e strapparlo via dalla mia bocca è un dolore fisico.

«Non sono più Demetrio.» Il battito forsennato del mio cuore mi chiude la gola e rende la mia voce poco più di un sussurro.

Lo sguardo di ossidiana di Hermes mi uccide e le sue labbra piegate in un sorriso divertito, così vicine, mi tolgono la ragione.

«A me non sembra.» Inclina la testa e fa un cenno verso lo specchio.

Folti capelli biondi incorniciano il mio volto delicato, nemmeno le luci fredde della stanza appannano il colore caldo delle mie iridi e la linea morbida delle mie labbra.

Tenta di baciarmi di nuovo, ma lo allontano. «No.»

Solleva un angolo della bocca e abbassa le palpebre. «Oh, non scherzare.»

Mi ritrovo di schiena, con il volto premuto sulla superficie fredda del vetro, oltre il quale sfreccia una massa di sardine argentee. Hermes affonda sul mio collo e mi fa scivolare una mano fra le gambe. Posso sentire la sua eccitazione contro di me e gemo di piacere.

«Non mi sembra un no...» Il suo respiro nell'orecchio mi inonda di brividi e vorrei morire in questo istante.

Ma no, non sono io, non voglio esserlo. Faccio leva con le mani sul vetro e lo spingo via.

«Ti ho detto che non sono Demetrio, non più.» Stavolta non devo fare alcuno sforzo per tornare alla mia forma attuale.

Hermes incrocia le braccia e mi guarda dall'alto in basso. «Anche così non sei male. Come ti fai chiamare?»

«Non mi faccio chiamare, io sono Emanuele.» Gli punto un dito contro. «E non provare a toccarmi di nuovo.»

Il dio piega le labbra in un sorrisetto. «Perchè? Ti è piaciuto troppo?»

Assottiglio lo sguardo. «È stata Calipso a dirti di me?»

«Chi altri sennò? Ma ora sono in debito con quella puttana.» Fa una smorfia di disappunto. «A quanto pare ha tutta l'intenzione di aiutare la tua fidanzata... e se stessa, naturalmente.»

«Che altro ti ha detto?»

Hermes scoppia a ridere. «Mi hai dato troppo poco per pretendere tutta questa confidenza... Emanuele.»

Sento la folla esplodere in un boato. Che diavolo sta succedendo dall'altra parte?

«Non ho tempo di parlare con te.»

Quando tento di oltrepassarlo, però, mi afferra un polso. «È vero? La ami?»

Mi libero dalla stretta. «Non sono affari che ti riguardano.»

Sono già nel corridoio quando sento la sua replica.

«Più di quanto ami me?»

Impreco fra i denti e quasi corro per raggiungere la balconata. Ma niente può prepararmi alla scena che appare davanti ai miei occhi.

Quella specie di grottesca discoteca è diventata un'arena. E al centro c'è Lilia contro una specie di guerriero Indio armato con una lunga lancia. Ha appena schivato un fendente e ora si tiene a distanza muovendosi in cerchio. Com'è finita in questa situazione?

Faccio per lanciarmi verso la scala, ma un energumeno dalla pelle nera come la notte mi si para davanti. I suoi occhi da pesce, tondi e sporgenti, ruotano verso il mio volto.

Muove le gigantesche labbra producendo parole simili a schiocchi. «È possibile accedere al Nexus solo da sfidanti.»

Muterei senza pensarci due volte se Calipso non mi appoggiasse una mano sulla spalla.

«Prima di rovinarti la permanenza, stai a guardare.»

Fa un cenno verso l'arena, dove Lilia si sta togliendo il giacchetto. Ha il volto sudato e arrossato, i capelli appiccicati sulla fronte. Sotto la canottiera vedo il suo petto che si alza e si abbassa.

La mia voce è un ringhio basso e ruvido. «Maledetta, ti giuro che se le succ...»

Calipso si appoggia un dito sulle labbra. «Shh...»

Lo scontro riparte e il guerriero affonda la lama arcuata contro Lilia. Urlo, ma poi la vedo muoversi con una precisione che mi sconvolge. Il suo equilibrio è perfetto e sembra che riesca a prevedere tutti gli attacchi del suo avversario. Non riesco a crederci.

«Ma com'è possibile?»

Un sorriso gelido solca le labbra della dea. «Dovresti dirlo tu a me, sapevi che parla un greco quasi perfetto? Se escludiamo qualche errore di pronuncia.»

Qualsiasi risposta mi muore in gola. Lilia riesce ad afferrare la lancia e, con una leva di incredibile maestria, riesce a scardinare il polso del guerriero.

Come se non bastasse, fa roteare l'arma come se non avesse mai fatto altro nella vita e ha gioco facile nel puntarla alla gola del suo sfidante. Se avesse voluto, il giovane peruviano non avrebbe più avuto una giugulare su cui contare.

Un sorriso trionfante si apre sul suo volto, si illumina tutta, incurante del sangue che le sgorga da un angolo della bocca.

La folla scoppia in acclamazioni selvagge e urla il suo nome nemmeno fosse il nuovo messia. Il putiferio supera la musica martellante, qualcuno urla morte, alti sono dell'opinione contraria.

Quando Calipso solleva il braccio il silenzio cade di colpo. Anche la musica si spegne e l'unico suono che resta è la lieve vibrazione degli aeratori.

Prima che la dea possa decretare la sua scelta, però, Lilia getta l'arma a terra. Quel gesto provoca un brusio di disapprovazione, o di stupore. Dallo sguardo che rivolge a Calipso è chiaro che non si tratta di un errore. Ha scelto lei cosa fare, sfidando in pubblico l'autorità della dea.

«Che meravigliosa stronzetta mi hai portato.» Calipso abbassa il braccio. «Ti addebiterò le sedute di psicoterapia di cui avrà bisogno Yaku, dopo stasera. E forse anche le mie.»

Avvicino il mio volto al suo masticando le parole come farei con la sua strafottenza.

«Ce ne andremo stasera stessa, ho sbagliato a pensare che potessi aiutarci.»

«Sei un po' nervoso o sbaglio? Deduco che tu abbia già incontrato Hermes.»

«Maledetta bastar...»

«Emanuele!» Lilia emerge dalle scale e si getta fra le mie braccia. «Hai visto?»

Il suo racconto sfreccia una parola dopo l'altra, in un crescendo di eccitazione ed entusiasmo. Maschero la mia ira con un sorriso e le bacio la fronte umida.

«Sei stata incredibile.»

«Oh, sì, davvero. Pazzesco!» Saltella, batte le mani e si mette in guardia. «Attento a te! Posso malmenarti a mio piacimento!»

«Questo è certo.»

«Dai prova a colpirmi!»

«Lilia non...»

«Prova!»

Inutile dire che un attimo dopo mi trovo in ginocchio con un braccio piegato dietro la schiena.

«Ma sei una schiappa! Non hai imparato niente in tutte le tue vite?»

«Lilia, sono un mutaforma, non ho bisogno di combattere per ottenere quello che vogl... Ah!» Urlo e il dolore mi appanna la vista.

Ride e mi lascia andare. «Okay, okay, scusa. Sei libero!»

Mi massaggio una spalla e mi rimetto in piedi.

«Bene, perché ce ne andiamo stanotte.»

Spalanca gli occhi e la gioia si trasforma in delusione. «Cosa? No! Perché?»

«Non c'è niente per noi, qui.»

«Permettimi di dissentire.» Interviene Calipso. «Domani avrò notizie certe su tuo fratello, mia cara.»

Lilia allarga le braccia. «Hai sentito? Che senso ha arrivare fino a qui per poi tornare indietro?»

Mi inumidisco le labbra. «Senti Lilia, tu non capisci...»

Il suo sguardo si fa di fuoco. «Io non capisco?»

«Non volevo dire questo...»

«Ma lo hai detto!»

Calipso appoggia una mano sulla schiena di entrambi. «Ragazzi, siete stanchi. Ho fatto preparare una stanza per voi in modo che possiate riposare e schiarirvi le idee.»

Lilia fa un passo indietro e incrocia le braccia. «Le mie idee sono chiarissime.»

Mi appoggio due dita sulla fronte, maledicendomi per ogni scelta che mi ha condotto a questo momento. Una cosa è vera, però, sono stremato.

Ho bisogno di un po' di pace per rimettere insieme i pezzi di me stesso. Se tiro ancora la corda rischio di mutare in qualcosa di davvero orribile.

Mi allontano da Calipso, prima che la lanci giù dalla balconata. «D'accordo. Basta che usciamo da questa bolgia.»

La dea dà ordini a un omuncolo basso e dall'aspetto gelatinoso di accompagnarci. Ha la pelle azzurra, nessun pelo sul corpo e due grandi occhi cerulei. Non ha bocca per parlare e cammina con una lentezza disarmante, ma almeno la sua presenza non peggiora l'elettricità che fa vibrare ogni nervo del corpo.

«È stato incredibile, non sai che è successo nella mia testa, Ema!»

Per fortuna si è lasciata l'irritazione alle spalle. Faccio del mio meglio per condividere la sua esultanza, ma so che non sono il massimo.

«Non riesco a immaginarlo.»

Osservo il corridoio, neutro e funzionale. È dipinto di grigio scuro con decorazioni minimali che lo percorrono in tutta la lunghezza. L'illuminazione dei neon crea un'atmosfera cupa come il mio umore.

L'aria è fresca, ma con un lieve odore di umidità marina. Il pavimento è realizzato in larghe piastre di ceramica con occasionali graffi o segni di usura, testimoni della vita attiva nella base sottomarina.

A intervalli regolari lungo il corridoio, si aprono porte in metallo. Sono solide e ben costruite, dotate di maniglie cromate e un sistema di chiusura molto robusto.

Lilia mi prende la mano. «Hai sentito qualcosa di quello che ti ho detto?»

L'omino sblocca una porta e la apre, poi mi lascia una scheda metallica che funge da chiave.

La metto in tasca. «No, scusami. Sicura che non vuoi una stanza tua?»

Aggrotta la fronte. «Tu vuoi una stanza tua?»

Sospiro, mi sembra di sbagliare ogni cosa che dico. «No, ho solo pensato che volessi un po' di privacy.»

«Sai che c'è? Forse hai ragione.»

Chiede una stanza al piccolo mutante e lui gliene offre una davanti alla mia.

«Buonanotte.»

Nemmeno mi guarda e chiude la porta alle sue spalle prima che io possa rispondere. Forse è meglio così, avrei solo peggiorato le cose. Scambio uno sguardo con gli occhi acquosi dello strano mutante.

«Non dire niente.»

L'omino scuote le spalle come se ridesse, poi mi dà una pacca sul fianco e si allontana.

Sospiro e entro nella piccola stanza. Anche questa è grigia, ma c'è tutto quello di cui una persona avrebbe bisogno, tranne una finestra. Sembra anche pulita, poteva andare peggio.

Mi butto sul letto e chiudo gli occhi. Dormire non fa parte della mia natura, ma se mi calmo abbastanza posso entrare in una specie di meditazione profonda.

È quello di cui ho bisogno. Non voglio pensare, non voglio pensare a niente.

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