
L’aria sembra più pesante mentre corriamo lungo i corridoi allagati. L’acqua ci rallenta, ma non possiamo permetterci di fermarci. Ogni passo è una sfida, e ogni suono di metallo che si piega o di qualcosa che crolla mi fa sobbalzare. Mi costringo a guardare avanti, a concentrarmi sulla prossima curva, sul prossimo obiettivo. Ma dentro di me tutto è un caos.
«Ci siamo quasi.» Emanuele al mio fianco, la sua voce ferma nonostante il fiato corto.
Ha Calipso tra le braccia, il suo corpo privo di sensi sembra quello di una bambola rotta. Non so se ho fatto la scelta giusta quando gli ho chiesto di trovarla. Ho agito d’istinto, ma la mente pretende ragioni che non sono in grado di offrire.
Se non fossi stata io a chiederlo, l’avrebbe lasciata indietro. Il pensiero si insinua nella mia testa, gelido e invadente. A volte mi chiedo se il vero problema non siano le mille forme che il suo corpo può assumere, ma il vuoto che sembra riempire la sua moralità. Come se per lui il bene e il male fossero concetti sfocati, non qualcosa di definito, né di essenziale. È questo che mi spaventa più di ogni altra cosa.
No. Non posso permettermi questi pensieri ora.
«Accelera! Il corridoio potrebbe crollare da un momento all’altro!» gli urlo, sentendo il cuore battermi in gola.
Le luci rosse intermittenti ci confondono, rendendo difficile orientarsi. Ogni volta che il buio cala per un istante, il panico mi stringe il petto. E se ci stessimo dirigendo verso un vicolo cieco? E se fosse già troppo tardi?
«Lilia, continua a correre». La voce di Emanuele è calma, come se sapesse esattamente cosa fare.
Questo mi irrita, ma al tempo stesso mi dà la forza per andare avanti. Lui crede in me, ma io? Io non so nemmeno se sto facendo la cosa giusta.
Quando finalmente arriviamo alla sala dei sottomarini, la vista che ci accoglie non è confortante. L’acqua è salita fino ai polpacci e il caos regna sovrano. Persone si spingono, urlano, cercano disperatamente un posto nei pochi sottomarini rimasti. I miei occhi corrono subito verso il nostro gruppo.
Savannah è sulla soglia di un sottomarino, il viso teso e pallido, ma quando mi vede, solleva un sopracciglio.
«Finalmente. Stavo per iniziare a pensare che ci avessi lasciati qui a morire.»
«Non è il momento» rispondo, cercando di mantenere un tono deciso, anche se dentro mi sento vacillare.
Hermes è poco distante, le braccia incrociate e un sorriso che sembra una smorfia di derisione.
«Oh, la nostra eroina è tornata. E con un bottino» dice, indicando Calipso.
«Un è un bottino, è una persona.» La mia voce è tagliente, ma lui non sembra colpito. Anzi, il suo sorriso si allarga.
Emanuele gli lancia uno sguardo che potrebbe incenerire chiunque. «L’hai sentita. Aiutaci invece di stare lì a pensare che non sia un problema anche tuo.»
Per un attimo, i loro occhi si incontrano, e c’è qualcosa di strano in quel silenzio. Una tensione che non riesco a decifrare, ma che mi fa sentire fuori posto, come se mi stesse sfuggendo qualcosa di importante.
«Sai che in effetti non è un mio problema, ma va bene, Demetrio… oh, aspetta, scusa. Non sei più lui, vero?» Hermes inclina la testa, il suo tono volutamente provocatorio.
Non capisco cosa voglia dire, ma Emanuele si irrigidisce, e per un istante sembra sul punto di perdere il controllo.
«Basta» mi intrometto, più forte di quanto intendessi. Entrambi si girano verso di me, sorpresi. «Non abbiamo tempo per le vostre… faide personali. Dobbiamo salire su questo sottomarino e andarcene. Ora.»
La mia voce trema appena, ma cerco di non lasciarlo trasparire. Hermes si limita a fare un cenno teatrale.
«Come vuoi, capobranco.» La parola è piena di sarcasmo, ma non ho la forza di rispondergli.
Emanuele mi guarda, i suoi occhi pieni di qualcosa che non riesco a decifrare. Forse gratitudine. Forse preoccupazione.
«Sei pronta?» mi chiede piano, come se il mondo intorno a noi non stesse letteralmente crollando.
Non lo so. Non mi sento in grado di fare niente, ma annuisco comunque. «Sì. Andiamo.»
Yaku è già salito sul sottomarino e ci fa cenno di sbrigarci. Savannah si trascina dentro con fatica, zoppicando, mentre Hermes si infila con la sua solita nonchalance. Io ed Emanuele siamo gli ultimi.
Quando finalmente siamo tutti dentro, il portellone si chiude con un sibilo, isolandoci dal caos esterno. Mi accascio contro una parete, il respiro affannoso e il cuore che sembra volermi sfondare il petto. Siamo al sicuro. Per ora.
Ma quando incrocio lo sguardo di Emanuele, capisco che la vera battaglia è appena iniziata.
L’interno del sottomarino è angusto, una capsula metallica soffocante che sembra progettata per il solo scopo di sopravvivere, non per garantire comfort. Ci sono sedili imbottiti lungo le pareti curve, ma sono troppo pochi rispetto al numero di persone che si sono riversate nei vari sottomarini. Sopra di noi, luci al neon tremolano, proiettando ombre lunghe e distorte. La parete frontale è un pannello trasparente che lascia intravedere l’acqua scura, un vuoto sconfinato che sembra pronto a inghiottirci.
Mi siedo, le gambe ancora tremanti, mentre Emanuele deposita Calipso su uno dei sedili. Savannah è rannicchiata su un lato, stringendosi il fianco ferito. Hermes si appoggia alla parete opposta, il solito sorriso ironico stampato in volto, come se la situazione non fosse più di una fastidiosa distrazione. Yaku rimane in piedi, lo sguardo vigile e le mani pronte a reagire.
«E adesso?» chiedo, cercando di nascondere il tremore nella mia voce. Le parole rimbombano nell’aria claustrofobica.
Hermes risponde con una risata secca. «Adesso speriamo che questo coso sappia dove portarci. Nessuno di noi ha un brevetto da pilota, giusto?»
Savannah solleva lo sguardo, gli occhi violacei carichi di stanchezza e sarcasmo. «Perché mai dovrebbe esserci bisogno di piloti? È un sottomarino di emergenza, non un’astronave. È fatto per gente disperata come noi.»
«E funziona?» Yaku, sempre pratico, posa una mano sul pannello di comando. Ma prima che qualcuno possa rispondere, il sistema si attiva con un sibilo pressurizzato, e un rumore profondo riempie la capsula.
Le luci si intensificano, e un messaggio lampeggia sul pannello trasparente: “Avvio automatico – Procedura di evacuazione attivata.”
Per un attimo nessuno dice nulla. Il sottomarino si muove, un leggero sobbalzo seguito dal rumore dell’acqua che scorre intorno a noi.
«Beh, ecco la nostra risposta» mormora Emanuele, la voce più calma di quanto mi aspettassi.
Mi lascio andare contro il sedile, ma la tensione nell’aria è tangibile. Non è solo il terrore di non sapere dove ci porterà questo sottomarino. È qualcosa di più grande, qualcosa che non osiamo ancora mettere in parole.
«Là fuori...» Savannah rompe il silenzio, la sua voce è un misto di stanchezza e consapevolezza. «Tutti i Velati stanno scappando. Non è solo il rifugio che stiamo perdendo. Per quanto facesse schifo era l’unica cosa che ci teneva al sicuro.»
Hermes si sporge leggermente in avanti, con un sorriso che non raggiunge gli occhi.
«Sicuri? Non direi che quel posto fosse una casa. Era una prigione. E ora...» Fa un gesto vago con la mano. «Ora la prigione è aperta.»
Yaku stringe i pugni, ma non replica.
È Emanuele a parlare, la sua voce tagliente. «Non tutti dovrebbero essere liberi. E lo sai.»
Hermes lo fissa, i suoi occhi pieni di qualcosa che non riesco a definire. «Chi può saperlo meglio di te, Demetrio.»
Quella parola – ancora quel nome – mi colpisce come un fulmine. Per un attimo il silenzio tra di noi è totale, denso come l’acqua che ci circonda. Emanuele non risponde, ma il modo in cui si irrigidisce mi fa capire che Hermes ha toccato una corda troppo profonda.
«Chiudi quella dannata bocca» sibila, i pugni chiusi e il fuoco negli occhi.
«Cerchiamo di restare calmi» intervengo, cercando di recuperare il controllo. «Non possiamo fare nulla per ciò che sta succedendo là fuori. Non ancora. La priorità è capire dove stiamo andando e cosa faremo dopo.»
Savannah sbuffa, ma non dice nulla. Yaku annuisce appena, mentre Hermes si limita a sorridere, come se la mia autorità lo divertisse.
Ma le sue parole – e il modo in cui Emanuele le ha accolte – non mi abbandonano.
“Demetrio.” Un nome che non conosco, ma che sembra avere un peso enorme per entrambi. E io… io ho troppa paura di chiedere.
La mia mente è un vortice di pensieri, colma di possibilità e scenari che si accavallano senza tregua.Là fuori, il mondo sta per affrontare un cambiamento improvviso e radicale. I Velati imperfetti – i più instabili, i più pericolosi, alimentati da una rabbia repressa troppo a lungo – si riverseranno in una società ignara della loro esistenza. E quella stessa società non è pronta. Non può esserlo.
Mentre il sottomarino si inoltra nell’oscurità, un brivido mi percorre. Non siamo più in fuga. Siamo all’inizio di qualcosa di più grande, di più spaventoso. E io... io non so quel è il mio posto in tutto questo.
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