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CAPITOLO 2

Il messaggio si svela davanti ai miei occhi. È tutto vero. Riesco persino a sentire il suono dell’impatto con la realtà. Le mie mani tremano e mi sembra di aver appena fatto una scorpacciata di sabbia arida e ansia galoppante. Deglutisco a vuoto e leggo le poche righe sul foglio. Sono scritte a mano, in una grafia chiara e senza fronzoli.

Esci dalla scuola. Adesso. Usa la scala di servizio, troverai la porta di emergenza sulla sinistra. Oltrepassala e raggiungi il parcheggio. Prosegui verso la recinzione metallica, la terz'ultima barra è mobile. Spostala, esci e dirigiti verso la strada principale. Svolta a destra. Hotel Caravel. 

Saprai la stanza.

Strappa questo foglio e distribuisci i pezzi nei water. 

«Non posso ricordarmi tutta questa roba...» mormoro, scorrendo verso il fondo del biglietto.

P.S. Ricorderai tutto. Ora muoviti, non hai molto tempo.

Scatto in piedi e mi guardo intorno, anche se sono in un loculo che ha giusto lo spazio per il water. Sollevo lo sguardo, in cerca di qualche telecamera nascosta. Bella cretina, ma chi mi credo di essere? La nuova protagonista di Mission Impossible

Strappare il biglietto, giusto. 

Oddio, ma perché lo sto facendo? Ora io me ne torno in classe tranquilla e lascio che chi ha scritto questa lettera risolva i suoi problemi mentali. 

Prima, però, dividere i pezzi e tirare gli scarichi.

Per sicurezza. 

Okay, fatto. Ora posso tornare a concentrarmi sulla mia normalissima vita. Mi lavo le mani, ma un rumore improvviso mi fa gridare. Elisa urla insieme a me per lo spavento. Nel frattempo, ho inondato d'acqua lo specchio, per il colpo che mi ha fatto prendere. 

«Ma che sei scema?» sbotto, pallida come uno straccio. 

La mia faccia riflessa sembra quella di un cadavere, per la miseria. 

«Io scema? Vedi che se non torni, la Tollino dà di matto. Mi ha mandato lei a cercarti.»

«Merda... Sì, arrivo.»

Mi asciugo le mani sotto l'aria, nella vana speranza che se ne vada, ma Elisa incrocia le braccia e resta lì ferma come un soldato.

«Devi aspettare che si spenga da solo?» mi domanda, tipo inquisizione.

«Le mani vanno asciugate bene.»

«Non è che hai fumato, no?»

Quella frase mi fa venire in mente Emanuele. «Io? No! Ma che ti viene in mente?»

«Meglio così. Dai, torniamo in classe.»

E se lei fosse un'agente segreto che mi porterà in qualche galera siberiana?

Elisa aggrotta la fronte. «Perché mi stai fissando in quel modo? Mi stai facendo venire l'ansia, Lilia.»

«Siamo in due.»

«Cosa?»

«Niente.»

Mi mordo il labbro. E se le dicessi quello che mi è capitato? Vorrei tanto alleggerire la situazione che mi è precipitata sulle spalle. Ma che potrebbe dirmi? Vai alla polizia, parla con tua madre. Tutti consigli sensati che già conosco.

La seguo fuori dal bagno con la testa così leggera che mi sembra sollevi anche il resto del corpo. Quasi non mi sembra di sentire il pavimento sotto i piedi.

Entro in classe e invento una scusa che giustifichi la mia assenza prolungata. La professoressa Tollino mi scruta da sopra gli occhiali con un'espressione indecifrabile. Poi mi fa cenno di tornare a posto.

Mi siedo e guardo fuori dalla finestra. La pioggia non ha smesso di cadere, anzi. Visualizzo me stessa fuggire dalla scuola sotto l'acqua battente e rabbrividisco. 

Che cosa folle sarebbe stata. Figuriamoci. Seguire le indicazioni di un messaggio anonimo, ma siamo matti? È contro ogni basilare principio di autoconservazione della specie umana. Non esiste.

Manca poco alla fine dell'ora e i miei compagni iniziano a consegnare la versione che io ho tradotto quasi un'ora prima. Qualcuno bussa e mi si rizzano i capelli dietro la nuca. Ormai credo che anche il ronzio di una mosca mi farebbe agitare. La Tollino si volta in quella direzione con un'espressione accigliata.

«Sì?»

La porta si apre e appare il preside. Un giovanotto sui trentacinque anni, con un abito elegante e i capelli corti pettinati all'indietro. Ha sostituito la precedente dirigente scolastica da qualche mese e ancora non sembra molto pratico.

Comunque, sto iniziando a rilassarmi. Per due minuti non ho pensato alla lettera: faccio progressi. Approfondisco il respiro e appoggio la schiena alla sedia. Va tutto bene, benissimo.

«Prevenzione sanitaria» annuncia il preside. «I medici della ASL visiteranno i ragazzi, per un controllo gratuito.»

Intravedo qualche camice bianco alle sue spalle. Due o tre persone. La pandemia è finita da un pezzo, ma non mi sorprende che continuino questi controlli dopo quello che è successo. O meglio, non mi sorprenderebbe, se non avessi ricevuto quella cavolo di lettera. Ecco, ci sto pensando di nuovo. E se le due cose fossero connesse?

La professoressa solleva le sopracciglia. «Non ne ero stata informata.»

Il preside si schiarisce la voce, un po' in imbarazzo. «Ho dimenticato di mandare la circolare, ma l'ho appena fatto.»

La Tollino scuote la testa e si alza. «Allora ragazzi, avete sentito? Finite di consegnare i compiti e mettere via i vocabolari.»

Mi agito sulla sedia, mentre i tre medici, due uomini e una donna sui cinquanta, fanno il loro ingresso. La dottoressa ha una valigetta bianca, di metallo, che appoggia sulla cattedra.

La apre con un click, mentre gli altri due preparano delle sedie davanti alla lavagna elettronica. Uno di loro prende il registro e inizia a chiamare i nomi uno a uno. Non mi sembra niente di troppo invasivo, un tampone in naso e bocca. Prelevano anche una goccia di sangue, ma non ho idea del motivo. Ecco, tocca a me. Mi siedo e mi costringo a restare calma, anche se ogni fibra del mio essere mi urla di andarmene.

Sbircio nella valigetta dove intravedo un piccolo macchinario dove inseriscono i campioni. Forse li analizzano sul momento.

«Signorina Tulli?» 

Sussulto e mi volto così in fretta che mi si annodano i tendini del collo, già tesi come corde.  

«Ha dimenticato di firmare i documenti per la competizione di matematica» mi avvisa il preside, sulla soglia.

La dottoressa scuote la testa. «Non abbiamo ancora terminato le analisi.»

«Faremo in un attimo. Ce li ho proprio qui» insiste il dirigente scolastico, mostrando i fogli che ha in mano. «Allora Tulli, ti muovi?»

Il suo tono mi fa scattare in piedi, mentre cerco di ricordarmi quando mi sarei iscritta a quella competizione. 

«Arrivo subito.»

Lo seguo fuori dalla porta e gli chiedo la penna. 

«Certo, una penna.» Il preside getta i fogli nella raccolta differenziata e mi prende per un braccio. 

«Non capisco, non dovevo...»

«Dovevi fare molte cose, ma non ne hai fatta nessuna» replica, mentre mi trascina verso la scala di servizio. 

«Come?» La voce mi esce soffocata dal nodo che ho in gola. «Ha scritto lei quella lettera?»

«Silenzio, ora vai.»

Giuro che quello sguardo non gliel'ho mai visto. Sembra un'altra persona. 

«Non posso, devo avvisare mia madre e...»

Tiro fuori il telefono e lo sblocco, anche se non sono sicura che lo userò per chiamare. 

«Dammelo, parlo io con tua madre.»

Schiudo le labbra ed esito. Tutto mi aspettavo, tranne che me lo prendesse dalla mano. E ancora meno che lo gettasse nella tromba delle scale. Il suono che arriva alle mie orecchie mi basta a dichiararlo defunto. 

«Basta come incentivo? Ora muoviti.»

Quella è la goccia che fa traboccare il vaso. 

«Ma lei è pazzo! Io la denuncio!»

L'avrei anche colpito, se non avessi rischiato le conseguenze. Già ho abbastanza problemi, al momento. Gli volto le spalle e corro via da quella giornata, dal caos che ho nella mente e da quel peso che mi soffoca da troppo tempo. 

È troppo chiedere un po' di pace? 

Non voglio nemmeno tornare in classe, voglio solo stare sola. Supero di corsa i collaboratori scolastici che mi urlano dietro e mi lancio verso la palestra della scuola. Non so dove andare e non riesco a essere lucida in questo momento. So che sto combinando un casino e, di certo, la mia fuga non durerà a lungo. Sento le voci alle mie spalle e so di dover trovare un nascondiglio sicuro. La palestra è vuota, ma non posso fermarmi lì, mi scoprirebbero in un attimo.

C'è una porta aperta che da su quel prato ispido e secco che chiamano giardino. Non ci penso due volte e scatto in quella direzione. Una volta fuori, però, non so cosa fare. Svolto l'angolo e mi trovo in un vicolo cieco, fra un magazzino degli attrezzi, i quadri elettrici e la caldaia. Sento i passi alle mie spalle e mi copro il volto con le mani. E ora che faccio?

E piove, anche.

E se non bastasse, mi sento afferrare i fianchi e vado a finire in un angolo fra un'intercapedine e la parete del prefabbricato. Avrei urlato, se la sorpresa non mi avesse tolto la voce.

Emanuele si porta un dito sulle labbra e mi strizza l'occhio. I collaboratori scolastici si fermano a pochi passi da noi, si guardano intorno e poi si chiedono che fine ho fatto. 

«Forse è scappata verso l'uscita. Andiamo a vedere, prima che i genitori lo vengano a sapere.»

Riprendo a respirare solo quando si allontanano abbastanza da non sentirli più. 

«Per poco non mi facevi scoprire.» Il ragazzo si mette la sigaretta fra le labbra e mi soffia sul volto il vapore profumato. 

Siamo così vicini che sono costretta a uscire dal nascondiglio per darmi un minimo di contegno.

«Lascia stare.» Muovo la mano davanti al mio naso per scacciarlo, ostentando una certa disinvoltura. «Una giornataccia. Non si accorgono che sei qui a fumare?»

Lui scrolla le spalle e si passa una mano fra i capelli scuri. «Manca quella di chimica, aveva due ore.»

Mi sfioro la fronte, nel tentativo di trovare qualcosa da dire. «Scusa, sembra che io ti stia seguendo.»

«E non è così?»

I suoi occhi azzurri sono divertiti, ma io non la prendo bene lo stesso. 

«No! Per chi mi hai preso?»

Emanuele solleva le mani. «Sto scherzando, non mi uccidere.»

«Te l'ho detto, sono isterica. Scusa.»

«Vuoi fare un tiro? C'è poca nicotina, quasi niente.»

Mi porge la sigaretta e, va bene, sono colpevole. Il pensiero di appoggiare le labbra dove le ha messe quel notevole esemplare di ragazzo, non mi fa esitare. Ma questo non significa che mi piace. 

«Buono, che gusto è?»

«Rum. Posso fare una domanda io, adesso?»

Annuisco e faccio un altro tiro. 

«Perché scappavi?»

«Se te lo dico mi prendi per matta.»

«Ma no. Non lo farò, promesso.»

Inclino la testa e sollevo il mento, come la protagonista di un film. Meglio così che frignare, cosa che farei molto volentieri, vista la situazione. Ma tutto voglio, meno che fare la figura della ragazzina con lui.

«Potrei mettere in pericolo la tua vita.»

Solleva le sopracciglia. «Addirittura. Così mi fai diventare ancora più curioso.»

So che sbaglio a dirglielo, ma tanto ormai è tutto un casino. Tenermi tutto dentro è un peso insostenibile. Male che va, torna dentro e ciao. Quasi non prendo fiato, mentre parlo. Non tralascio niente e, alla fine, gli restituisco la sigaretta.

«Voglio dire, tu che avresti fatto?»

«Io avrei seguito le indicazioni della lettera. Si vive una volta sola.»

«Mi prendi in giro.»

«Per niente. Tutti vorrebbero avere un'avventura come questa.»

«Anche tu?»

«Certo.»

La sua calma mi strappa una risata un po’ nervosa. «Non so come fai a essere così tranquillo. Forse perché non sei tu che ci sei dentro.»

«Sono così annoiato dalla vita che non sai quanto ti sto invidiando.»

«Beh, allora vieni con me.»

Il mio cuore perde un battito a sentirmi pronunciare quelle parole, mi sa che c’era veramente un superalcolico in quel vapore aromatico. Ed è ancora peggio quando lui accetta.

«Perché no.»

«Dici davvero? E cosa diremo ai nostri genitori, voglio dire, a mia madre. Visto che mio padre è morto.»

«Mi dispiace.» 

Sembra sincero, ma anche un po' distaccato. Ci sta, comunque.

«Grazie» rispondo, stropicciandomi l'indice.

Lui si stringe nelle spalle. «I miei, invece, sono sempre in viaggio per lavoro. Quindi non se ne accorgerebbero prima di una settimana.»

«Tu sei fuori, se pensi di farlo davvero.» Ma non so se lo dico più a lui o a me stessa.

Emanuele, però, non fa una piega. «Fuorissimo. A proposito, come ti chiami?»

Giusto, io so chi è lui. Ma non vale il contrario. Questa cosa mi fa infiammare le guance e vado subito sulla difensiva.

«Liliana... Lilia. Lo so, è un nome di merda.»

Fa spallucce e inclina la testa, divertito. «C'è di peggio. Oronzo, tipo.»

«Stupido!»

«Questo è sicuro.» Fa un sorrisetto che svela una piccola fossetta sulla guancia.  «Allora? Iniziamo questa caccia al tesoro?»

Mi mordo il labbro, indecisa. «E se il tesoro è tipo che va a finire male?»

«L’alternativa è tornare in questa galera di scuola. A me sembra ancora peggio» replica, con una logica disarmante.

Cerco di darmi un po' di coraggio e faccio un bel respiro. «E comunque potrebbe essere una specie di scherzo, no?»

«Potrebbe. Quali erano le istruzioni?»

Editato da: Priscilla Gullotta

Instagram: @libriacuorleggero

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