
L'acqua che scorre contro la scocca del sottomarino è un sussurro costante, come se l’oceano stesso volesse ricordarci che siamo solo intrusi in un regno che non ci appartiene. Lì fuori c’è il vuoto, un abisso che potrebbe inghiottirci da un momento all’altro.
Il respiro di Lilia è l’unico suono che riesco a distinguere con chiarezza. E’ seduta di fronte a me, lo sguardo fisso su un punto indefinito del pavimento metallico. Le spalle rigide, la mascella serrata. Cerca di sembrare forte, ma io la vedo. Vedo il peso che si porta dentro, il dubbio che la corrode, anche se non lo ammetterà mai.
Calipso è distesa al mio fianco, ancora priva di sensi. Il suo volto è pallido, i capelli incrostati di sangue secco. È viva, è a questo punto ci resterà.
«Quindi…» La voce di Hermes taglia l’aria, morbida come seta e affilata come un pugnale. Si sporge dal suo sedile, il solito sorriso sprezzante dipinto sul volto. «Il grande eroe ha salvato la ragazza. Commovente.»
Non alzo neanche lo sguardo. «Quando riuscirai a tenere la bocca chiusa sarà sempre troppo tardi.»
«Oh, certo. Il silenzio è sempre stato il tuo rifugio preferito, no? Più facile nascondersi dietro una faccia nuova piuttosto che affrontare quello che sei davvero.»
Le sue parole scivolano come veleno sotto la pelle. Nessuno qui sa cosa sta facendo davvero. Nemmeno io. Ma Hermes… Hermes sa troppo di me.
Lilia alza appena lo sguardo, confusa. Ma non dice nulla.
«Strano, non trovi?» continua Hermes, con quel suo tono distratto che nasconde una precisione da assassino. «Puoi cambiare volto tutte le volte che vuoi, ma alla fine resti sempre lo stesso. Solo un uomo in fuga da se stesso.»
Mi volto lentamente verso di lui, fissandolo negli occhi. C’è qualcosa di antico lì dentro, un rancore sepolto sotto strati di sarcasmo. Ma anche qualcosa di più. Qualcosa che brucia ancora.
Sono stanco persino di innervosirmi a causa sua. «Ti do una notizia: sono stato anche una donna, anzi più di una. Oltre a innumerevoli altre cose di cui non riusciresti mai a pronunciare il nome.»
Hermes sorride, ma i suoi occhi dicono il contrario. «Oh, non darti troppe arie. Per me resterai sempre Demetrio.»
«Puoi chiamarmi così tutte le volte che vuoi. Questo non cambierà le cose.»
Hermes distoglie lo sguardo, ma il sorriso che gli rimane sulle labbra è solo una maschera. E io non voglio sapere cosa c’è dietro.
Lilia si irrigidisce. So che ha notato il nome, ma sta scegliendo di non intervenire. Non so se io ci sarei riuscito.
Un gemito debole interrompe il silenzio carico. Calipso. Le sue palpebre tremano, poi si sollevano a fatica, rivelando occhi confusi, opachi.
«Dove…?» La sua voce è roca, impastata di stanchezza e dolore.
Mi chino su di lei, la mia mano le sfiora la fronte per istinto. «Sei al sicuro. O almeno, per quanto possiamo esserlo adesso.»
Lei cerca di sollevarsi, ma un’ondata di dolore la costringe a ricadere. «La base…?»
«Andata.» La voce di Yaku, secca e diretta. «Non è rimasto nulla.»
Calipso chiude gli occhi per un momento, respirando a fatica. Quando li riapre, c’è una nuova consapevolezza nello sguardo. «Allora è davvero finita.»
«Bello, eh? Tutti noi freak in giro per il mondo. Ora sì che ci si diverte, vero?» La voce di Savannah è impregnata di sarcasmo, ma la sua espressione tradisce tutt’altro che allegria. Si stringe il fianco ferito, poi lascia andare un sospiro ruvido. «Ci si scateneranno contro. Salterà tutto.»
Calipso si passa una mano sul volto, il gesto lento e stanco. Poi si trascina a sedere, con un gemito soffocato dalla frustrazione più che dal dolore.
«Non so come sia potuto accadere. Né perché… né chi c’è dietro tutto questo.»
Le sue parole mi inquietano più di quanto il mio volto lasci intendere. Se nemmeno lei sa cosa sia successo — e non ho ragione di dubitarne — allora qualcosa di più grande di noi si sta muovendo nell’ombra.
Un silenzio pesante cala per un istante, rotto solo dal ronzio sommesso del sottomarino e dal suono ritmico delle bolle d’aria che risalgono verso la superficie.
«Il caos» mormora Lilia, fissando un punto invisibile oltre il portello trasparente. La sua voce è bassa, quasi persa nei pensieri. «Chiunque ci sia dietro… sta scatenando tutto questo per un motivo.»
Le sue parole restano sospese nell’aria e nella mia mente.
«Per nascondere qualcos’altro?» suggerisco, il pensiero che si forma più veloce delle parole stesse.
Hermes sbuffa, un sorriso storto che non raggiunge mai gli occhi. «O per rivelarlo, magari. A volte, il modo migliore per nascondere qualcosa è metterlo proprio sotto gli occhi di tutti.»
Yaku rimane in silenzio, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo fisso sul pavimento. Ma i muscoli tesi e la mascella serrata tradiscono la sua inquietudine.
Lilia si sfiora le labbra con le dita.
«È possibile.» Alza lo sguardo verso di me, e nei suoi occhi leggo qualcosa che non c’era prima: il peso di una responsabilità che nessuno di noi voleva davvero. «Qualunque sia il motivo, ci riguarda. Sfuggire a tutto questo è impossibile, possiamo solo affrontarlo.»
Savannah scuote la testa, una risata amara che le sfugge prima di riuscire a trattenerla. «Come sempre. Solo che adesso… è tutto là fuori. Niente più rifugi. Niente più zone d’ombra.»
E in quel momento, capisco che ha ragione.Non siamo più nascosti. Non siamo più invisibili.Il mondo sta cambiando. E noi saremo costretti a cambiare con lui.
«Almeno sappiamo dove ci sta portando questo coso?» Savannah rompe il silenzio, la voce roca e carica di fastidio mentre si aggrappa a una delle maniglie per contrastare le leggere oscillazioni del sottomarino.
Calipso scrolla le spalle, un gesto che sembra più pesante di quanto dovrebbe. «In un posto sicuro. Lontano dagli altri sottomarini. Lo scopriremo a breve, la base non era lontana dalla costa.»
Non c’è sicurezza nelle sue parole, solo una fragile speranza mascherata da pragmatismo.
Yaku stringe con più forza la sua lancia, le nocche che sbiancano per la tensione. «Qual è il piano una volta arrivati?»
Nessuno risponde. Perché la verità è che non abbiamo un piano.Dopo un silenzio interminabile, è Lilia a prendere la parola. La sua voce è ferma, anche se il dubbio le danza appena dietro lo sguardo.
«Informazioni. Dobbiamo capire cosa sta succedendo là fuori e come reagiranno i media e le istituzioni.»
Un breve, amaro sorriso si disegna sulle labbra di Hermes, che si appoggia con noncuranza alla parete del sottomarino.
«Come vuoi che reagiscano?» chiede, inclinando appena la testa. «Andranno tutti nel panico. Urla, accuse, caccia alle streghe… La solita farsa umana.»
Lilia gli lancia uno sguardo che potrebbe cauterizzare più di una delle ferite di Savannah.
«E saranno quelli come noi a pagare.» La sua voce si fa più fredda, un filo di ghiaccio che taglia l’aria tra di loro. «Dobbiamo capire come. Se le autorità saranno organizzate per reagire, come mi aspetto, avremo la nostra conferma che niente di tutto questo è stato casuale.»
Un pensiero s’insinua nella mia mente, più inquietante di quanto voglia ammettere: E se davvero il caos non fosse il risultato di un errore… ma il prodotto di un piano perfetto?
Hermes distoglie lo sguardo, ma il suo sorriso non si spegne del tutto.Forse perché lui sa più di quanto lascia intendere.O forse… perché ha sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato.
E in quel silenzio carico di presagi, il sottomarino continua la sua corsa cieca verso una costa che potrebbe non offrirci alcun rifugio. Ognuno si rifugia nel proprio angolo, cercando un briciolo di pace dove la pace non esiste.
Savannah si raggomitola contro la parete metallica, le ginocchia strette al petto e lo sguardo perso in un punto che solo lei può vedere. Yaku rimane vigile, la lancia sempre stretta tra le mani, come se anche chiuso in quel bozzolo di metallo potesse servire a qualcosa. Calipso si sdraia di nuovo, gli occhi semichiusi, ma il respiro irregolare tradisce che il sonno è un lusso che non può permettersi.
Io resto seduto, la schiena appoggiata alla paratia, con le gambe distese davanti a me. Mi sento svuotato, prosciugato da tutto ciò che è successo. Ma il peso più grande non è quello della stanchezza fisica. È lei.
Il rumore costante del sottomarino a colmare lo spazio tra di noi. L’aria è densa, non solo per la claustrofobia di questo guscio di metallo, ma per tutto ciò che non diciamo.
Lilia tiene le ginocchia strette al petto, le braccia avvolte intorno a se, come se potessero proteggerla da qualcosa che nessun muro potrebbe tenere fuori. Io sono abbastanza vicino da sentire il calore del suo corpo, ma non così vicino da toccarla. Eppure, ogni fibra di me lo desidera.
«Non sei sola. Non devi sentire la responsabilità di ogni cosa.» La mia voce è un sussurro, fragile come il filo sottile che ci lega.
Lei non risponde subito. Inspira profondamente, poi lascia andare l’aria con un sospiro carico di stanchezza. «Non mi sembra di avere molta scelta.»
C’è un nodo nella mia gola che non riesco a sciogliere. «Abbiamo sempre scelte. Solo che a volte fanno paura.»
Si gira appena verso di me, il suo profilo illuminato dalla debole luce rossa d’emergenza. I suoi occhi mi cercano, pieni di dubbi e qualcosa di più. Qualcosa che non ha un nome, o forse ne ha troppi.
Rimaniamo così, a guardarci, il mondo ridotto a pochi centimetri di distanza. La tensione è una corda tesa sull’orlo di spezzarsi. Non c’è più il fragore delle esplosioni, né quello dei nostri pensieri.
Lei abbassa lo sguardo per un istante, poi lo solleva di nuovo. Nei suoi occhi c’è qualcosa che fa male e bene allo stesso tempo. Senza pensarci — o forse proprio perché ci ho pensato troppo — allungo una mano e le sfioro la guancia con la punta delle dita.
È un contatto leggero, quasi impercettibile, ma per me è come attraversare un confine invisibile. Lei non si ritrae. Chiude solo gli occhi per un istante, lasciando che il mio tocco resti lì, sospeso tra la paura e il desiderio.
Poi, lentamente, appoggia la testa sulla mia spalla. Il gesto è semplice, ma dentro di me è come un’esplosione silenziosa. Le passo un braccio attorno alle spalle, tirandola appena più vicino, e sento il suo respiro rallentare, farsi più profondo.
Non diciamo niente. Non serve. Le parole, in questo momento, sarebbero solo una distrazione.
Restiamo così, intrappolati in un fragile equilibrio tra ciò che siamo e ciò che potremmo essere. E per la prima volta da quando tutto è iniziato, sento che forse… non sono del tutto perso.
l sottomarino continua la sua corsa silenziosa nell’abisso, mentre il peso delle cose non dette riempie l’aria più dell’ossigeno che respiriamo.
Perché, in fondo, la cosa più difficile da affrontare non è ciò che ci aspetta là fuori.È ciò che ci portiamo dentro.
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