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CAPITOLO 4

«Ha un documento?»
La richiesta dell'uomo alla reception mi fa defluire il sangue dal volto. 
Faccio scattare una mano sulla tasca, ma lo so già: no, che non ce l'ho.
«Mi dispiace, non...»
«Oh, mi scusi» L'uomo controlla qualcosa sul computer, batte sui tasti un paio di volte e poi si volta aprendo un cassetto. «Lei è già stata registrata. Ecco il suo documento, la collega deve essersi dimenticata di riconsegnarglielo.»

Torno a voltarmi verso l'impiegato. L'uomo sorride. Ha la pelle ambrata, forse è di origine mediorientale. Ho sentito parlare degli agenti segreti del Mossad e l'ansia mi gela le mani. Ma che vado a pensare? Il fatto è che dovrei essere a scuola, ora. Mi staranno cercando? Avranno già telefonato a mia madre?

 «Magari la chiave della stanza...» rispondo, senza molta convinzione.

«La porta si sblocca con la carta d'identità, non servono chiavi.»

Mi sforzo di sorridere. «Ma certo, grazie mille, arrivederci.»

Che stupida, non mi sono nemmeno fatta confermare il numero. Lancio uno sguardo all'uomo, digita qualcosa sul computer e poi entra in un ufficio adiacente.

Ma dov'è Emanuele? 

Forse mi sta aspettando davanti alla stanza. Non so perché, ma mi sono fidata quando mi ha detto che non mi avrebbe abbandonato. O forse mi voglio fidare, ho bisogno di farlo. Dovrò pentirmene? Credo che dovrò pentirmi di molte altre cose, nel caso.

Forse dovrei prepararmi la parte dell’adolescente vittima di un trauma che si mette in un mare di guai e che chiede perdono al mondo. Ma già so che farò schifo a scusarmi, quando tutto questo casino verrà fuori.

Perché è ovvio che non rimarrà un segreto. Prima o poi mi cercheranno, ci sarà la mia faccia al TG e dovrò fuggire in Alaska per non diventare lo zimbello della mia classe. Immagino la faccia di Elisa che starà già chiamando gli ospedali, sicuro.

Vado verso gli ascensori e una coppia anziana mi lancia uno sguardo indagatorio. Non mi sento a mio agio e decido di usare le scale.

Di solito il primo numero indica il piano, quindi ne conto tre. Me li faccio quasi di corsa, ma non ho il fiatone. Mio padre ha sempre insistito con l'atletica e devo ammettere che mi ha fatto bene. Nonostante l’apparenza minuta, me la cavo nelle prove fisiche. Tipo scalare il tetto del mio liceo per fuggire di nascosto tipo spia russa della Marvel. Meglio non pensarci.

Percorro il corridoio senza incontrare nessuno. Nemmeno Emanuele, purtroppo. 

I miei passi, attutiti dalla moquette grigia e anonima, sono incostanti e incerti, mentre controllo i numeri delle stanze. Trecentonove, eccola.

Avvicino l'orecchio alla porta. Niente.

Mi inumidisco le labbra e avvicino la carta d'identità alla serratura elettronica. Luce verde. Entro e richiudo la porta alle mie spalle: il timore che qualcuno possa entrare e assalirmi è peggiore della possibilità di rimanere intrappolata. La stanza è minimale, con pochi mobili, una tv spenta e illuminazione al neon. La vista all'esterno è limitata per via della finestra stretta e alta, foderata con pesanti tende. Sembra più un ambiente di lavoro funzionale che un luogo in cui potersi rilassare. 

Noto anche qui le immagini di bastimenti e mappe antiche, ma dopotutto l'Hotel si chiama Caravel. Mi avvicino a quella che mostra la flotta alla scoperta dell'America: è l'unica identica a quella della hall

«Dodici ottobre millequattrocentonovantadue» sussurro, a fior di labbra.

I numeri, oggi, hanno reso la mia vita un inferno, quindi sto per diventare paranoica. Forse dovrebbe esserci qualche messaggio segreto? Non mi sembra.

Esamino la cornice e stacco il quadro per vedere se c'è scritto qualcosa dietro. 

Bingo! Una cassaforte di metallo bianco con un tastierino elettronico. Sembra davvero una caccia al tesoro. Magari è uno di quei programmi dove ti riprendono di nascosto. Fra tutte le ipotesi, questa è la mia preferita.

Quel pensiero mi solleva un po’ lo spirito. E ora? Quale dovrebbe essere la combinazione? Il piccolo display sembra accettare sei numeri, quindi l'anno della scoperta dell'America è escluso.

«A meno che...»

Senza pensarci due volte, inserisco la data abbreviata: 121092.

Il rosso nefasto di cui si illumina il sensore è un proiettile a bruciapelo. Non mi aspettavo che fosse sbagliato e la cosa mi prende del tutto in contropiede. Impreco a mezza bocca e sollevo la mano con l'intenzione di fare un altro tentativo, me ne restano due.

Provo la mia data di nascita. Niente.

Ultimo tentativo.

Che succederà se lo sbaglio?

All'improvviso la TV si accende e appare un disturbo granulare grigio, simile a miriadi di insetti che saettano sullo schermo. Ma non è quello farmi a impazzire. Nello stesso momento, un suono acuto mi perfora i timpani e mi trapassa il cervello. Mi premo le mani sulle orecchie e cado in ginocchio. Boccheggio, non riesco nemmeno a urlare per il dolore. La mente mi si riempie di scene simili a ricordi, ma come se appartenessero alla vita di un'altra. Le immagini sono saettanti e distorte, come in un film corrotto. Vorrei fermarle, ma no, sono costretta a guardare. Sono risucchiata in quel mondo distorto, sbagliato, incomprensibile.

«Va tutto bene, è finita.» 

La voce di Emanuele è come acqua fresca nel deserto bruciato che è diventato la mia mente. Mi aggrappo alla sua spalla, nel disperato tentativo di rimanere cosciente.

«La TV si è accesa e...»

«Che cosa hai visto?»

«C'era l'immagine del segnale mancante, ma poi quel suono...Non lo so, ero seduta davanti a un tavolo bianco e c'erano dei fogli. Numeri, codici e un'infermiera. Le mie mani erano così...piccole.»

«Che cosa ti diceva di fare?»

«Non ho capito, la sua voce era disturbata. Come quando la radio non funziona» ansimo, nel tentativo di riprendere fiato. 

«Vieni, sdraiati sul letto.»

Mi aiuta a tirarmi su e, se non mi sostenesse, rischierei di cadere a ogni passo.

«Ma che sta succedendo?» gemo, incapace di mettere in fila i pensieri.

Mi si siede accanto. «C'è molto che non sai su te stessa.»

«E tu? Che cosa vuoi da me?»

Il suo sguardo mi incatena, «La verità, Lilia.»

Quelle parole mi fanno avvampare di rabbia e frustrazione. «Ma quale verità? Sono una studentessa del terzo anno, una ragazza qualunque. Non sono nessuno! Cerco di fare del mio meglio, ma non è mai abbastanza...non è mai...»

Non riesco a proseguire, perché il mio corpo si tende come se fosse percorso da una scarica elettrica. Stavolta vedo mio padre, vestito in giacca e cravatta. Mi osserva, ma non come se fossi sua figlia. Non c'è traccia di quel suo sorriso bonario che mi ha sempre dedicato. 

«Mi guarda come se fossi un.... oggetto.»

«Chi ti guarda?»

Biascico la risposta ed Emanuele mi appoggia una mano sulla fronte. Il suo tocco ha il potere di calmarmi e riesco a prendere l'aria di cui ho tanto bisogno.

«Ho sete.»

Mi sembra di aver ingoiato carta vetrata e riuscire a sorseggiare l'acqua fresca che mi porge ha il potere di ridarmi un po' di senso di realtà. Cerco di tirarmi su, ma il mio corpo sembra fatto di pietra. 

«Mi fa male tutto.» 

Mi appoggia una mano sulla spalla. «È per via dei tendini, se non ti rilassi finirai per spezzarti.»

Preme con le dita e io inspiro, chiudendo gli occhi. Mi massaggia la base del collo e vorrei che non smettesse. Vorrei che il mondo si fermasse in questo momento. Scende lungo le braccia ma, invece di calmarmi, il mio volto avvampa. Il suo tocco scatena in me sensazioni che non credevo esistessero. Vorrei di più e questo pensiero mi spaventa. Mi ritraggo, sottraendomi al contatto.

Emanuele schiude le labbra, i suoi occhi azzurri agitati come il mare in tempesta.

«Scusa, non intendevo...»

«No, va bene. Sto meglio» mi affretto a rispondere.

Lui si alza e si aggira per la stanza, come un animale in gabbia.

Lo seguo con lo sguardo. «Hai finto di essere uno studente per tutto questo tempo, vero?» 

«Non ho una risposta sincera a questa domanda, Lilia. Per quasi tre anni sono stato uno studente, non ho finto niente.»

«Ma prima?»

«Prima sono stato molte altre cose.»

«Non me lo dirai, vero?»

Ora nei suoi occhi leggo una profonda tristezza, una malinconia a cui non so attribuire una ragione. Se non mi guardasse così, forse lo aggredirei. Ho bisogno di sapere o finirò per impazzire.

Appoggia le mani sulla scrivania, come se cercasse un punto per ancorarsi. 

«Mi dispiace tanto per quello che ti sta succedendo. Se potessi evitartelo, lo farei.»

«Mi basterebbe che tu mi parlassi» lo imploro.

Annuisce e osserva le proprie mani per qualche istante, poi fissa lo sguardo nel mio.

«Lo farò Lilia, te lo prometto. Ma ci sono cose che devo capire anche io. Ti chiedo solo di fidarti di me fino a quel momento.»

Ormai non so nemmeno se vorrei tornare alla mia vita di prima. Se ci penso adesso, mi appare senza senso, come se ci fosse sempre stato un pezzo mancante. Non c’è altra scelta che andare avanti, per quanto mi spaventi.

«Che cosa devo fare per risolvere tutto questo?» gli domando.

«Non mentivo quando ti ho detto che dovremo scoprirlo insieme» mi risponde, avvicinandosi alla cassaforte. «Hai fallito due tentativi?»

«Sì, non so cosa succede se ne sbaglio un altro.»

Si guarda intorno. «Sei cifre. Deve esserci un indizio da qualche parte.»

«Ho pensato che potesse essere legato a quella litografia.» Indico il quadro che ho appoggiato a faccia in giù sulla scrivania. 

Lo prende e lo esamina per qualche istante, poi me lo porge.

«Osservala di nuovo.»

Prendo il quadro e lo appoggio sulle gambe, sconsolata. «Non so cosa dovrei cercare.» 

«Non farti questa domanda. Osservalo e basta, non pensare.»

Sospiro e faccio come mi dice. «E ora?»

«Torna alla cassaforte.»

Sono ancora incerta sulle gambe, ma riesco ad arrivarci. Fisso lo sguardo sul tastierino numerico e, d'un tratto, nella mia mente vedo le cifre che dovrei inserire. Schiudo le labbra per la sorpresa.

«Fallo, Lilia.»

«Ma se sbaglio...»

«Non sbaglierai.»

Faccio un profondo respiro e scrivo i sei numeri. Luce verde.

Resto interdetta. «Non so nemmeno da dove li ho presi.»

«Chieditelo.»

Rispondo senza riflettere, come in una specie di trance cosciente. «La data della scoperta dell’America, ma ho invertito il mese e i giorni.»

«Come nelle date anglosassoni» mi fa notare.

Riprendo in mano il quadro. «La data è scritta in inglese… Avrei dovuto pensarci subito. Solo che non sapevo di saperlo, delle date straniere, intendo.»

«Fidati del tuo intuito, il cervello registra molte informazioni. Lo fa continuamente, ma non tutti sanno richiamarle alla memoria. Avrai visto di certo una data con la nomenclatura inglese almeno una volta nella tua vita.»

«Probabile… Ho già detto che tutto questo è assurdo, vero?»

Annuisce. «Vedrai molte cose assurde da qui in avanti. A partire da quello che c’è nella cassaforte.»

«Tu lo sai già?»

Piega un angolo della bocca. «No, ma non mi aspetto la ricetta del ciambellone.»

«Cucinarlo sarebbe la vera prova impossibile.» Accenno un sorriso e schiudo la pesante anta di metallo per rivelare il contenuto interno. «C'è solo un foglio.» 

Quando riconosco la scrittura di mio padre, però, resto senza parole.


Mia cara figlia,

se stai leggendo queste parole, significa che io sono morto. Mi dispiace per il dolore che questo ti ha provocato. Avrei voluto essere io a dirti la verità, ma ho sperato che non fosse necessario. Ho sperato che tu avessi una vita normale.

Questo, purtroppo, non è più possibile.


«Ma che significa?» mormoro, senza staccare lo sguardo da quelle parole.


Per la tua sicurezza, non posso scrivere più dettagli di quelli che sono necessari, ma sappi che sei in pericolo. Ci sono persone che ti stanno cercando. Non puoi fidarti di nessuno.


Sollevo lo sguardo verso Emanuele, mi guarda negli occhi e mi sembra più grande di uno studente del quinto anno. Ancora una volta, mi sembra un'altra persona. E se l’effetto che mi provoca è qualcosa che lui ha studiato solo per ottenere informazioni da me? Mi sembra sincero, ma è così che funzionano le truffe, giusto? Mi chiedo se sono stata un'ingenua a raccontargli tutto. Le mani mi tremano, ma mi sforzo di continuare a leggere la lettera di mio padre.


Ecco che cosa devi fare: 


41° 54' 00" Nord

12° 30' 00" Est

1, B, 82

437

IDT: Xant1er0984!


CMD3450987

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Vorrei poterti dire tutto in queste poche righe e, a questo punto, non posso che rimpiangere di non averlo fatto prima. Stai attenta, se vieni scoperta, la morte è la cosa migliore che potrebbe capitarti.

Distruggi questa lettera appena hai finito di leggerla e non parlarne con anima viva.

Ti abbraccio,

papà


«Brutte notizie?» mi domanda Emanuele che non ha smesso di osservarmi nemmeno per un attimo.

Non so cosa rispondergli. A questo punto, non so nemmeno se rispondergli.


Editing: Priscilla Gullotta (Instagram @libriacuorleggero)


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