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CAPITOLO 7

Ho vissuto in così tanti luoghi, ho assunto apparenze fra le più diverse. Innumerevoli forme di vita di cui conservo l'esperienza e il più profondo ricordo. Eppure, l'essere umano le supera tutte. Ancora oggi, mi chiedo se sono in grado di esserlo fino in fondo. C'è qualcosa in loro, una contraddittorietà forse apparente, una profondità che continua a sfuggirmi. Come una magia a cui anche io voglio appartenere. 
«A che pensi?»
La voce di Lilia mi scuote dalle mie riflessioni. 

«Non so se puoi capire.»

Solleva le sopracciglia, per un attimo ho paura di averla offesa, ma poi morde un pezzo di pizza e scrolla le spalle.

«Se non me lo spieghi, è difficile. No?»

Il fatto che sia interessata a me, quando è lei ad aver bisogno di spiegazioni, addolcisce la mia malinconia. Credo sia la prima volta che mi capita, tutti sono sempre concentrati su se stessi e lei ne avrebbe tutto il diritto.

«Pensavo che l'avresti presa peggio. Intendo... quando hai saputo che cosa sono.»

«Non credo di essere certa di aver capito cosa sei... in ogni caso mi interessa di più sapere chi sei.»

Le sue parole mi fermano il respiro, ma faccio di tutto per mascherarlo. Ho sempre voluto che qualcuno mi considerasse una persona, anche dopo aver scoperto la mia natura.

«Chiedimi quello che vuoi.»

Sembra che non aspetti altro, sistema sulla poltrona e risponde all'istante.

«Come riesci a mutare? Ho visto che ora indossi vestiti diversi. Come fai?»

Ho voglia di parlarne, di aprirmi come non ho mai fatto. Forse perché mi sento al sicuro con lei. Non mi giudica, vuole solo capire. Magari anche… capirmi.

«Ogni creatura conosce il mondo attraverso i propri sensi e io posso decidere come apparire a chi mi guarda, mi tocca, mi sente. Tante volte mi sono chiesto, o chiesta, cosa sono se non c’è nessuno in grado di percepirmi. Se esisto lo stesso, oppure no.»

«È vero! Potresti apparire anche come una ragazza!» Deve trovare la cosa molto divertente perché non trattiene una risata. «Comunque, ti riferisci alla tua vera forma se nessuno ti osserva?»

«Sì.»

«Vediamo.» Chiude gli occhi, fa un sospiro e ingoia l'ultimo boccone. Osservo le sue labbra un po' lucide, le ciglia che tremano appena, il modo in cui si pulisce le dita sul fazzoletto. Potrei replicarla alla perfezione.

«Ok, ora lo so.»

Non posso fare a meno di sorridere, quando torno a vedere le sue iridi castane.

«Qual è il verdetto?» 

«Per me esisti anche se non ti guardo.» Arrossisce e finisce di bere l'acqua rimasta. «Scusa, ci conosciamo davvero solo da un giorno e....»

«È stato un giorno intenso», la precedo.

Abbassa lo sguardo. «Già... Non ho nemmeno avvisato mia madre. Lei stasera è fuori, ma sarà preoccupata di non ricevere i miei messaggi.»

Aggrotto la fronte. Non vorrei aggiungere altre preoccupazioni a quelle che già ha, ma so per certo che sua madre non è all'oscuro di quello che la riguarda.

Scelgo di temporeggiare. «Contattarla potrebbe metterla in pericolo.» 

«Hai ragione.»

Piega e gambe e appoggia le braccia sulle ginocchia. Dal suo volto sparisce ogni traccia di leggerezza e mi sembra che le sia precipitato il mondo addosso. Vorrei accorciare la distanza, abbracciarla, dirle che si sistemerà tutto. Ma non voglio oltrepassare il limite con lei e la verità è che nemmeno io so come andrà a finire.

«Posso chiederti che cosa è successo alla stazione?»

Lei prende aria e la espira di colpo, come se lasciasse andare i suoi pensieri.

«Nella cassaforte c'era una lettera di mio padre. Diceva di non fidarmi di nessuno, per questo ho reagito in quel modo, in hotel. Ho avuto paura che tu volessi usarmi, non so niente di te e… Ecco, per questo.»

Chiudo gli occhi, il senso di colpa mi trapassa come un proiettile. C'è molto che le ho nascosto, ma non ho più intenzione di continuare così.

«Lilia, mi dispiace di essere stato così sfuggente. Ma non potevo dirti niente. Non prima che tu arrivassi a quella lettera.»

Solleva le sopracciglia. «Non capisco, perché?»

«Perché dovevo vedere cosa avresti fatto senza influenzare le tue scelte.»

«Stiamo di nuovo parlando del mio istinto?»

«Anche. Che altro c'era scritto nel messaggio?» 

La vedo esitare e non posso biasimarla. Suo padre le ha detto di non fidarsi di nessuno, dopotutto. Solo il pensiero mi fa bruciare di rabbia. Proprio lui che le ha mentito da sempre, osa gettare dubbi su di me. Mi chiedo se avesse previsto che l'avrei aiutata, ma non voglio correre troppo con le ipotesi.

Appoggio gli avambracci sulle ginocchia e la guardo negli occhi. «Ti ho promesso che ti dirò quello che posso. E lo farò stasera, ma ho bisogno di sapere cosa è successo alla stazione.»

Lei fa un profondo sospiro, si stringe nelle spalle e mi ripete il contenuto della lettera.

«Non chiedermi come riesco a ricordare le parole così bene, ma c'era scritto proprio questo.»

Il suo sguardo sorpreso mi dice molto sul fatto che non sa cosa sia in grado di fare. In teoria, non dovrei saperlo nemmeno io, ma rispettare le regole non è esattamente il mio forte e le mie capacità tornano molto utili quando si tratta di ottenere informazioni.

«Quindi hai decifrato le istruzioni sulla lettera. Poi?»

«Ho cancellato una lista registrata sui sistemi della stazione. Era una lista di persone. C'era anche il nome di mio fratello e la sua foto, ma perché?»

Le sue sono tutte domande legittime, cose che prima o poi avrebbe dovuto sapere. Solo che non avrei voluto essere io a distruggere l'idea che ha del mondo. C'è molto nascosto dietro il velo delle apparenze. A volte mi domando se le persone riescano a percepirlo. Forse sì, ma ne fanno film pensando che sia solo immaginazione. Credono che le divinità siano solo invenzioni, storie. Che il mito sia allegorico, niente di reale. Quanto si sbagliano.

«Perchè non dici niente?» mi domanda, appoggiando le mani fra le lenzuola e sporgendosi verso di me.

«Non so da dove iniziare» le confesso, sfiorandomi un sopracciglio.

Allarga le braccia e si alza in piedi. «Dall'inizio potrebbe essere una buona scelta, Ema.»

Mi piace che mi chiami così, mi fa sentire umano. Ma più di ogni altra cosa, mi fa sentire di appartenerle un po'. Di non essere più solo un estraneo che la osservava quando non poteva accorgersene.

«Beh? Sto aspettando» mi incalza, facendo un passo verso di me.

So che, dal momento in cui le racconterò tutto, la mia posizione in questa storia cambierà e le conseguenze saranno impossibili da prevedere. Ma sono già andato oltre. Negli ultimi mesi ho combattuto contro i miei sentimenti, ho fatto di tutto per evitarli. Non è servito. Ormai, dirle la verità non è più una scelta, è una necessità. 

Le confesso che la ragazza alla fermata dell'autobus ero io e che le ho sussurrato quei numeri per sbloccare l'armadietto numero ottocentotre. Ho disegnato anche il murales con quel numero per imprimerlo nella sua mente. La aspettavo nel corridoio per assicurarmi che lo notasse e che ne trovasse il contenuto. Persino il cartellone delle pompe funebri è opera mia. Tutto questo ha richiesto una preparazione di mesi.

Avrebbe dovuto leggere il messaggio nell'armadietto e seguire le istruzioni da sola, poi sarei dovuto sparire. Per sempre.

Mentre parlo, i suoi occhi si spalancano. Leggo lo stupore nelle sue labbra schiuse e il nervosismo nelle sue dita stropicciate.

«Che altro?» mi chiede, con un filo di voce.

«Ricordi il suono che hai sentito in albergo? Sono stato io a provocare quel disturbo alla TV. Era un tentativo di riattivare i tuoi ricordi, devono essere lì nella tua mente. Perché nemmeno io so niente della tua infanzia. So solo che sei molto, molto speciale.»

Si passa le mani fra i capelli, incredula. «Speciale? Ma che dici?»

Mi alzo e mi avvicino alla finestra. Le luci gialle dei lampioni si stagliano contro il buio della notte, delineando le sagome delle ville vicine. Non mi aspetto che qualcuno sia a conoscenza di questo posto, ma potrebbero aver seguito il taxi. Abbasso le tapparelle e mi volto a guardarla.

«Che tu ci creda o no, è così. Hai visto tu stessa quello che sei in grado di fare.»

Il suo sguardo si assenta, come se stesse cercando di riordinare gli eventi. «Da quando è morto mio padre è più facile ricordare le cose... Ma è solo questo.»

Non mi stupisce. Probabilmente ha inserito un condizionamento mentale nella sua mente. Un blocco che le ha impedito di accedere alle sue capacità fino a un evento specifico. Non sarebbe la prima a cui accade.

«Non sai ancora quale sia il tuo limite.»

Lilia fa qualche passo nella stanza, come se cercasse fra quelle quattro mura le risposte che sta tentando di recuperare dai propri ricordi. 

«Ho pensato che derivasse dal trauma dovuto alla morte di mio padre. Da quel momento è come se si fosse sbloccato qualcosa in me.»

Questo conferma la  mia ipotesi, ma non è il momento di parlarne. Prima voglio che scopra qualcos'altro da sola. Qualcosa a cui non crederebbe mai, se fossi io a dirglielo.

«Posso riprovare a farti ricordare.» 

So che sarà doloroso, forse più della prima volta. Immagino che anche lei ne sia consapevole. È impallidita e le ombre scure sotto i suoi occhi si sono accentuate. 

Mi avvicino, ma non oso sfiorarla. Le mani le tremano e le stringe l'una nell'altra. È lei a cercare il contatto, appoggiandomi la fronte sulla spalla. 

Solo allora cedo al bisogno di abbracciarla. Lei mi stringe forte e le accarezzo la nuca. I suoi capelli sono così morbidi, il suo profumo così unico. Le metto le mani sulle spalle e la allontano quel tanto che basta a rimanere sano di mente.

«Sarò qui con te, d'accordo?» le assicuro, guardandola negli occhi.

Si passa le dita sulla fronte e annuisce. «Va bene.»

Vado verso un monitor e lo programmo su una certa frequenza. In albergo ho usato un dispositivo per provocare l'interferenza, ma qui non ne ho bisogno.

«Pronta?»

«No, ma facciamolo lo stesso.» Si siede sul letto e appoggia le mani sulle ginocchia. Spero di non peggiorare la situazione, ma so che è forte. Può farcela. Sto convincendo me stesso a infliggerle questa sofferenza, ma se ci penso ancora, non attiverò il segnale.

Quindi lo faccio e basta. 

Il sibilo acuto taglia in due l'aria come la più affilata delle lame. Lilia apre la bocca e resta immobile, poi rivolta gli occhi all'indietro e cade su un fianco. Il corpo è scosso da convulsioni che non smettono nemmeno quando il suono si è spento e l'interferenza è sparita. Vederla così mi devasta.

«Ehi, ehi. Sono qui.»

Le asciugo la bocca e impedisco che si strozzi con la sua stessa lingua. La sostengo contro di me, finché il suo corpo non si scioglie dalla morsa dei tendini tesi allo spasmo. Dice qualcosa, ma non la capisco. Bagno un tovagliolo e glielo passo sul volto, cinereo come quello di un cadavere.

«Anche lui lo ha detto, che sono speciale» biascica, con gli occhi sgranati. «Speciale, speciale.»

«Shh, aspetta.»

La cullo fra le braccia e ho quasi l'impressione che si sia addormentata. Poi sospira e mi preme una mano sul petto. 

«Ci sono, sto bene.»

Le sfioro il volto, è gelido e umido. La aiuto a rimettersi seduta e le verso un po' d'acqua. La sorseggia e poi guarda nel bicchiere come se fosse un pozzo dei desideri Una pizia nel suo reame di visioni.

«Mio padre non era chi credevo che fosse. Non siamo nemmeno parenti.»

La sua voce è poco più di un sussurro. Non dico niente e, quando solleva lo sguardo verso i miei occhi, ci legge la verità.

«Ma tu lo sapevi già, giusto?»

Annuisco. «Ma non credere che io abbia tutte le risposte su di lui.»

Si preme le mani sul volto, le spalle incurvate da un peso insostenibile. 

«La mia vita è falsa, ho vissuto in un'illusione. Non so più niente di me, non so chi sono, non so da dove vengo. Non so più niente.»

Vorrei dirle che so che significa, che conosco quello smarrimento. Ma non servirebbe, io stesso sto ancora cercando di raccogliere i pezzi della mia identità, frantumata fra innumerevoli esistenze.

«È troppo, non ce la faccio.» Scuote la testa e il bicchiere cade a terra.

Non so cos'ha visto, ma tutto voglio, meno che farglielo rivivere ora. Le sistemo le coperte e il cuscino.

«Facciamo così: ora ti sdrai e chiudi gli occhi. Domani ne riparleremo.»

I suoi occhi arrossati sembrano sprofondati nelle orbite quando li rivolge verso di me. 

«Ho paura di dormire. Se io dormo tu non ci sei.»

Il mio cuore si spezza in quello stesso istante. Sento quasi il suono dei frammenti che cadono sul fondo della mia anima. Se potessi, valicherei anche il confine fra il sonno e la veglia, per lei.

«Non vado da nessuna parte, vieni.» Mi distendo su un fianco e le tendo la mano.

Esita. «Sicuro che non ti dà fastidio?»

«Sicuro.»

Si sdraia accanto a me e si raggomitola, come se volesse affondare nel mio petto. Tiro su la coperta e le scosto i capelli, ammucchiati sul collo. Rabbrividisce, poi si lascia andare in un profondo sospiro.

«Non te ne andrai?»

«No. Te lo prometto di nuovo. Te lo prometterò ogni volta.»

«Perchè?»

Ci sarebbero così tante cose da dire, ma non riesco a sceglierne una che le comprenda tutte.

«Scegli tu la risposta» le sussurro.

«E chi mi dice che è quella giusta?»

Appoggio la testa sul cuscino e le labbra fra i suoi capelli.

«Farò in modo che lo sia.»

Resta in silenzio per qualche istante, poi mi abbraccia più forte. 

«L'ho scelta.»

«E ti piace?»

«Tanto.»

«Teniamo quella, allora.»

«Tu sei un angelo, dimmi la verità.»

Sorrido. «È il mio pezzo forte.»

«Davvero?»

«Mh, mh.»

«E puoi volare?»

«Le ali servono a quello.»

«Mi porterai con te?»

«Ovunque vorrai.»

Mi aspetto un'altra domanda, ma il suo respiro si fa pesante e regolare. Le sfioro i capelli e chiudo gli occhi, stanotte proverò a dormire anche io. Per la prima volta.


Editing: Priscilla Gullotta (Instagram @libriacuorleggero)


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