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CAPITOLO 8

Mi sveglio di colpo, in preda al panico. Il cuore mi batte forte e la mente è offuscata dal buio totale.
«Lilia, tutto bene. Sono qui.»
Mi sento prendere la mano e resto di sasso quando metto a fuoco il volto di Emanuele. È seduto accanto a me, sul bordo del divano. Le tapparelle sono alzate e, dalle tende, filtra la luce del mattino.
«Che è successo, noi...?!»

Rovisto fra i miei ricordi, cercando di rimettere in fila i pezzi della giornata precedente. Più ne recupero e più mi sento male. Mi tornano in mente le immagini di mio padre, annidate da qualche parte sul fondo della mia mente. Lui era qualcun altro, ma non riesco a capire chi. Mi sento divisa in due, quella bambina terrorizzata in mezzo a persone estranee e la figlia prediletta, amata e vezzeggiata fino alla sua morte.

Emanuele si alza per impostare qualcosa sul pannello accanto alla porta.

«No, no. Tranquilla, sei crollata e hai fatto qualche incubo.»

Mi premo le mani sulla fronte, nel tentativo di calmarmi, ma è il profumo del caffè a rimettermi al mondo.

Lui si avvicina al tavolo e ci appoggia una busta di carta. «Sono andato a prendere un po' di caffè, qualche dolce. Non so cosa ti piace.»

Le attenzioni che ha per me sciolgono un po' la tensione, ma ancora non riesco a capire perché lo sta facendo. E se avessi sbagliato a fidarmi di lui? Che scema a pensare queste cose. Da sola sarei già impazzita. O morta.

«Sei umano solo in apparenza, questo è certo.»

Sta sistemando le cose da mangiare sul tavolo, ma si ferma come se gli avessi sparato un colpo di pistola. Lascia tutto e mi sembra che le sue mani abbiano un tremito.

«Tutto bene?»

Va verso la finestra e guarda fuori, poi appoggia la fronte al vetro.

«Sì, tutto bene. Dammi un attimo.»

Scivolo giù dal letto e faccio un passo verso di lui, ma non so se avvicinarmi sia una buona idea.

«Ho detto qualcosa di sbagliato?»

Si volta appena, lanciandomi uno sguardo di sfuggita.

«No, no. Serviti o si fredderà tutto.»

Con cautela, mi siedo sulla poltrona e prendo una piccola sorsata dalla tazza di caffelatte caldo. Non so bene come comportarmi, ho l'impressione che qualunque cosa dirò potrebbe essere presa in modi inaspettati.

Il morso che do al cornetto con la marmellata, però, cancella ogni negatività dalla mia mente. Non me lo ricordavo così dolce. A dire la verità, tutto mi sembra più buono.

«È delizioso, grazie. Tu non mangi mai?»

Scuote la testa. «No, mi nutro solo di sangue umano.»

«Cosa?»

Quando si volta, mi trovo davanti Nosferatu in persona: la testa ovale, cinerea, gli occhi rossi e due lunghi canini affilati. Urlo e la tazza vola in aria. Per fortuna che era già vuota e riesco a riprenderla al volo.

Il vampiro mi strizza l'occhio. «Un bel paletto di legno e passa la paura.»

Subito dopo, torna a indossare il suo bel viso umano e scoppia a ridere. Il mio cuore corre a un ritmo forsennato e ansimo, premendomi una mano sul petto.

«Ma sei scemo? Stavo per morire di infarto!»

Continua a ridere persino mentre richiude il divano.

«Scusa, ci stava troppo bene.»

«Certo, che ti importa se poi ci resto secca. E comunque i vampiri sono belli, di solito.»

«Solo nei film.»

Finisco di mettere in bocca il cornetto, ma non posso aspettare di ingoiare per ribattere.

«E che ne sai, mica ne hai mai visto uno.»

«Ho visto tutte le creature in cui posso trasformarmi.»

Spalanco gli occhi. «E dove?!»

Si getta sul divano e allarga le braccia sullo schienale.

«Altri mondi.»

Più mi risponde e più mi sconvolgo.

«Puoi viaggiare fra i mondi?»

«In alcuni esistono dei portali che lo permettono. E, comunque, quando muoio posso scegliere dove andare.»

«Morire? Sei morto...?»

«Un bel po' di volte.»

«Scusa, ma quanti anni hai?»

Scrolla le spalle. «Non so cosa intendi. Misuro la mia anzianità solo in termini di evoluzione.»

Mi sfioro una tempia, in cerca delle parole.

«Intendo anni in cui hai vissuto.»

Fa sporgere il labbro inferiore. «Non ne ho idea. Non ho mai tenuto il conto.»

«Pazzesco.»

Ho bisogno di qualche minuto per interiorizzare quelle informazioni e ne approfitto per andare in bagno e vestirmi. Quando rientro, ha ripulito tutto e ha appoggiato alcune cartelline sul tavolo.

«Cosa sono?»

Ne fa scivolare uno verso di me. «Cose che hai bisogno di conoscere.»

Mi inumidisco le labbra. «Su di me?»

«Su quello che hai fatto ieri alla stazione. La lista che hai cancellato.»

Mi siedo e apro uno dei dossier, c'è un simbolo sobrio e un po' futuristico stampato sopra. Somiglia a un occhio stilizzato. Aspetta un attimo, l'ho visto nelle schermate della centrale di controllo. Era identico, ma questo ha una scritta sotto.

«Truesight. Che sarebbe?»

«È un'azienda americana, fornisce sistemi di scansione a militari, governi e organizzazioni internazionali.»

«Sistemi di scansione… Per cosa? Antiterrorismo?»

«Loro direbbero così. Scorri le pagine.»

Osservo sconsolata i mucchi di documenti. «Ci metterò una vita a leggere tutto.»

«Regola numero uno della tua nuova vita: non importi limiti. Solo così potrai scoprire fin dove arrivano le tue capacità.»

«Quali capacità?»

«Scorri le pagine» ripete, con un cenno del mento.

Sospiro e faccio come mi dice. Le informazioni appaiono nella mia mente come se ci fossero sempre state. Non so come sia possibile se nemmeno sto leggendo. Non nel modo in cui mi hanno insegnato a scuola almeno.

A quanto pare, la Truesight è un'organizzazione paramilitare. I sistemi di scansione individuano le persone che sono state sottoposte al Lighter.

Sto per chiedergli cosa sia ma, appena formulo la domanda nella mia mente, ottengo anche la risposta. Si tratta di una procedura di irradiazione in grado di attivare alcuni geni dormienti in individui predisposti. La Truesight fornisce gli scanner in grado di individuare le persone irradiate e poi vende le liste a chiunque abbia abbastanza soldi per pagarle. Okay, ora sono ufficialmente sconvolta.

«Possibile che di queste cose non se ne sappia niente?»

«Non sono informazioni pubbliche. Io stesso le ho raccolte con una certa fatica.»

Il giro di affari è davvero notevole, si parla di miliardi di dollari. Più informazioni ottengo è più mi sembra folle. Altro che teorie del complotto.

«Che succede alle persone irradiate da questo Lighter?»

Emanuele mi passa un altro dossier. «Leggi questo.»

Stavolta l'organizzazione si chiama Sfinge e ha sede a Pomezia, vicino Roma, con diverse succursali in tutto il mondo. Sembra una specie di farmaceutica e sono loro a irradiare i bambini con il Lighter. Ufficialmente, però, si occupano di prevenire malattie genetiche nei nuovi nati. Se non erro, hanno fatto queste analisi anche a mio fratello.

«Okay, irradiano alcuni bambini per provocare delle mutazioni...ma perché?»

«Per farne delle persone dotate da utilizzare per vari scopi. Militari, di solito. In gergo, li chiamano i Velati.»

Mi strofino una tempia. «Quindi la Sfinge e la Truesight sono rivali. La prima crea i mutanti e la seconda vende sistemi per individuarli.»

«Sì, è così.»

Vado avanti, passando a una serie di documenti su cui è stampato "Riservato" a lettere cubitali. I nomi sono oscurati, ma ai pazienti sono stati assegnati dei codici. Credo che indichino il livello della mutazione causata dall'irradiamento. Su alcuni c'è un simbolo che potrebbe indicarne la morte.

Lascio andare i fogli sul tavolo. «Quindi anche io sono stata irradiata.»

«Non credo, per questo sei speciale. La mia ipotesi è che tu sia una nativa. Ovvero, la tua dote non deriva dall'irradiamento.» Emanuele rimette insieme i documenti nelle cartelline e le chiude con un elastico.

«Una nativa…» mormoro, riflettendo per qualche istante. «Quindi gli scanner della Truesight non possono individuarmi.»

Sono abbastanza fiera di aver fatto questo collegamento, ma mi serve a poco, comunque.

«Esatto. Se sei una nativa la tua dote è invisibile.»

In effetti, il mio nome non c'era nella lista che ho cancellato alla stazione. Ne sono sicura, anche se erano migliaia quelli che mi sono scorsi davanti agli occhi.

Sbuffo, delusa. «La capacità di leggere e memorizzare? Preferivo l'invisibilità.»

Lui mi rifila un sorrisetto. «Che spreco sarebbe stato.»

«Che vuoi dire?»

«Niente, lascia stare.» Si schiarisce la voce. «Comunque, penso che tu sappia anche organizzare le informazioni, estrarre regole da sistemi complessi e chissà cos'altro.»

Metto il broncio. «Forte. Non ci ho capito niente… ma ricorderò tutto.»

Scoppia a ridere e raccoglie i fogli. «Meglio così, a volte le parole sanno essere più confuse della realtà.»

I miei pensieri, infatti, corrono velocissimi. È come se innumerevoli collegamenti si stessero creando all'istante.

«Ecco perché sto andando sempre meglio a scuola… Prima ero una studentessa poco più che mediocre. Tutto è iniziato dalla morte di mio padre. O meglio, da colui che diceva di esserlo.»

Mi fa male parlarne in quel modo, ma prima lo accetterò, meglio sarà. Emanuele, invece, abbassa lo sguardo e si agita sul divano come se fosse diventato bollente.

«Ora tocca a me dirti qualcosa.»

Sospiro e mi preparo al peggio. «Ti prego, se è brutta non la voglio sapere.»

Non usa giri di parole. «Tuo padre è ancora vivo.»

Mi appoggio una mano sul petto per impedire al mio cuore di balzare fuori.

«Cosa?» La voce mi esce bassa, soffocata. «Perché dici così?»

«Mi chiese di fingere la sua morte. Ero io, quella sera» confessa. «Mi dispiace tanto, Lilia.»

Schiudo le labbra, sconvolta. Non riesco a credere a quello che mi sta dicendo. Ricordo mio padre riverso davanti alla TV come se fosse ieri.

«Perché lo hai fatto?»

«Quando sono arrivato in questo mondo, ho visto nascere la Sfinge prima e la Truesight dopo. Conoscevo questo genere di cose e sapevo che non avrebbero portato a niente di buono.»

«E quindi?»

«Volevo fare qualcosa per smantellare il sistema che si stava creando. Ho cercato il modo per anni. Poi sono venuto a conoscenza di alcuni gruppi segreti che puntavano al mio stesso obiettivo.» Inspira e pronuncia le parole tutte d'un fiato. «Tuo padre ne faceva parte.»

«Mio padre fra i dissidenti? Stai scherzando?»

È sempre stato l'uomo più ligio alle regole che io abbia mai conosciuto. Non gli avrei mai attribuito un animo ribelle.

Emanuele si stringe nelle spalle, come se si stesse togliendo un peso di dosso. «Era solo un giovane studente universitario, all'epoca. Pieno di ideali e belle speranze. Per questo, mi sono rivelato per quello che sono e mi sono messo a disposizione.»

Mi racconta che mio padre ha dedicò anni allo studio e, grazie alle sue ricerche, riuscì a farsi assumere alla Sfinge.

«Non ci posso credere» mormoro.

Lui sospira, abbattuto. «Mi diceva che l'avrebbe distrutta dall'interno, che dovevo fidarmi di lui. Sono stato un ingenuo.»

Accenno una risata amara. «È sempre stato bravo a convincere la gente.»

Emanuele si passa le mani fra i capelli, e si abbandona sul divano. «Ho avuto i miei sospetti, ma lui mi diceva sempre che non era il momento giusto. Intanto scalava le gerarchie della Sfinge.»

«E poi ti ha chiesto di "farlo morire", ma perché?»

«Non lo so. Dovevo solo eseguire quel compito, tenerti sotto controllo e fare in modo che entrassi in quella stanza di albergo alla data stabilita.»

«Per trovare la lettera e cancellare la lista della Truesight alla stazione Termini» concludo.

«Già.»

Gli lancio uno sguardo obliquo. «Sbaglio o non ti sei limitato all'ordine?»

Si inumidisce le labbra e mi sembra che stia scegliendo con cura le parole che userà per rispondermi.

«Mi sono sentito colpevole per quello che ti ho fatto. E poi… non ero certo che tu fossi al sicuro.»

«Solo per questo? Voglio dire... solo perché eri preoccupato?»

Non lo dico con diffidenza, ma con sincero stupore.

Lui aggrotta la fronte. «Ti sembra poco?»

«Mi sembra la cosa più bella che una persona possa fare per un'altra. Così rara che è strano crederci.»

Emanuele accenna un sorriso. «Ti giuro che è la verità. Non so molto altro su di te, tuo padre è sempre stato attento a mantenere il segreto. Forse avrei potuto fare di più per capire cosa stesse accadendo, ma te l'ho detto... mi fidavo di lui.»

«Per questo sei diverso da tutti gli altri. Questo intendevo, prima.»

I nostri sguardi si intrecciano e ho la stessa sensazione di una discesa dalle montagne russe. Il mio stomaco sembra voler volare via e il cuore mi sale in gola.

Che sta succedendo? Non ho mai provato niente del genere e questa sensazione mi travolge, senza che possa fare niente per arginarla.

Troppe cose, tutte insieme.

Eppure, ho l'impressione che ci sia un ordine nascosto, una strada tracciata.

O forse... una gabbia invisibile da cui posso solo illudermi di fuggire.



Editing: Priscilla Gullotta (Instagram @libriacuorleggero)


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