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Come ho trovato un agente letterario

  1. ADDIO STIPENDIO FISSO


Da febbraio 2025 ho smesso di lavorare nell’azienda dove sono stata per quindici anni nel marketing. Scrivevo anche prima, certo. Ho provato un sacco di cose – alcune funzionavano, altre no – ma tutte mi sono servite. Perché dopo milioni di battute, prima o poi, succede: trovi quella che si chiama voce. È il tuo modo di scrivere, quello che ti rende riconoscibile, unico. Non è solo stile, è ritmo, scelte, tono. È come se a un certo punto le parole iniziassero a suonare giuste. Il modo in cui inquadri le scene, il peso che decidi di dare alle cose, tutto ti appartiene come un marchio di fabbrica.


Solo che, per quanto scrivessi, dentro di me non ci avevo mai creduto davvero. Non fino in fondo.

Poi il lavoro finisce (diciamo… più o meno consensualmente) e mi ritrovo a pensare: “Ora o mai più”.

Faccio qualche altro esperimento, ma questa volta decido di buttarmi davvero. E scrivo un dark fantasy. Che poi verrà etichettato come dark romantasy, ma io continuo a pensare che sia qualcosa di più speculativo.



  1. LA PRIMA BATOSTA


A quel punto voglio fare le cose in grande. Chiedo in giro un nome forte per un editing serio. Mi viene suggerita un’editor bravissima che ha lavorato anni in una CE Big italiana… che però mi dice subito che in Italia pubblicare fantasy italiano è molto, molto difficile. Le case editrici preferiscono tradurre dall’estero. Tradotto? le speranze erano praticamente zero.

Mi prendo mezza giornata per disperarmi e poi decido che no, quella storia meritava di essere letta. Anche fuori.

Così la traduco in inglese. Con l’aiuto degli strumenti tecnologici che abbiamo oggi (sì, anche l’AI, evviva!) e la mia conoscenza dell’inglese, riesco a rivederla e sistemarla da sola.

Nel frattempo scopro che, per essere pubblicati all’estero, serve passare attraverso un agente letterario. E no, non volevo autopubblicare.

Sentivo che quel libro aveva dentro qualcosa da editoria tradizionale, non da pubblicazione fai-da-te su Amazon.

Quindi imparo da zero come si sottomette un manoscritto. Scopro l’esistenza della query letter – una specie di lettera di presentazione sacra nel mondo editoriale anglosassone. E poi inizio a mandare in giro query su QueryTracker, la piattaforma che ti permette di contattare gli agenti (e tenere traccia dei rifiuti, sigh).

Spoiler: ne ho mandate più di 100. Alcune ricevono rifiuti nel giro di 30 minuti, o dopo settimane. Altre, silenzio assoluto.


Di solito una submission standard (quando non viene richiesto solo il pitch via mail) include:

  • la query letter (la lettera in cui presenti te stessa e il tuo romanzo)

  • un pitch (due-tre righe bomba per incuriosire)

  • una sinossi (il riassunto dettagliato di tutta la trama, anche del finale)

  • una mini bio

  • e i primi 3 capitoli del libro



  1. LA TEMPESTA EMOTIVA DEL PROCESSO DI QUERY AGLI AGENTI


Dopo un paio di settimane dalla valanga di query, succede l’impensabile: ricevo la mia prima richiesta di manoscritto parziale. E non da un agente qualunque. Da una vera mammasantissima dell’editoria americana. Di quelle che ti fanno saltare sulla sedia. Avevo seguito le istruzioni sul sito: solo query letter. Eppure, mi risponde. Non è ancora un sì, ma è un segnale: forse il concept funziona. Forse vale qualcosa. Resto in attesa.


Nel frattempo arrivano altre richieste di parziali, forse tre o quattro. Poi c’è anche quell’altro episodio.

Un agente (ricordatevi questo pezzo perchè sarà utile più avanti) mi manda un messaggio via QueryTracker:


“Fantasy or romantasy?”


Subito dopo, mi fa notare – con una dolorosa frustata – che la formattazione del mio manoscritto era un disastro (qualcosa tipo "ma nemmeno la formattazione?").

Aveva ragione, eh. Gli headings erano saltati, l’impaginazione un casino. Ma era notte fonda, ero stremata e avevo fatto un gran casino.

Mi fustigo da sola per la figura di merda. Gli scrivo, mi scuso e gli chiedo se posso rimandarglielo via mail. Mi dice di sì… ma mi avvisa anche che il fantasy/romantasy è talmente saturo che non ho speranze.

Provo a spiegargli che il mio non è una romance con elementi fantasy, ma un romanzo speculativo con una sottotrama romantica. Forse peggioro la mia situazione. Amen. Glielo mando. Silenzio.

Poi, nelle directory americane, scopro un nome italiano. E lo dico subito: un mito. Massimiliano Zantedeschi.


Un agente italiano che non chiede soldi per leggere? Che segue la liturgia anglosassone delle submissions? Non potevo non provarci. Vado sul suo sito, leggo bene le istruzioni, preparo tutto con cura e invio i primi capitoli in italiano.

Dopo una settimana mi risponde. Vuole il full. TADAM.

Lo ringrazio e glielo mando subito. Passano una decina di giorni. Mi scrive di nuovo: lo sta leggendo, ci sentiamo a breve.

Ora, per chi non lo sapesse, nel mondo anglosassone questa è chiamata THE CALL.

L’evento mitico, atteso, temuto. Quando un agente ti propone di sentirvi, il cuore ti esce dalla gola. La scheduliamo per tre giorni dopo.



  1. THE CALL E I NUDGE


Quando ci sentiamo, aveva già letto tutto. Tutto. In meno di due ore.

Parliamo per un’ora intera.

E che ve lo dico a fare: un signore. Onesto, trasparente, preparatissimo. E io, dopo quindici anni di studio, scrittura, letture, confronti… lo capisco subito quando uno sa di cosa parla in questo ambito.

Non ricordo ogni parola di quella chiamata – avevo la testa leggera come un palloncino a elio – ma ricordo questo:


Mi ha detto che nei primi capitoli c’erano dei difetti (e me li ha spiegati bene), ma che ha continuato a leggere perché ha pensato: “Qui c’è qualcosa. E avevo ragione. Non mi sono fermato fino alla fine. Mi succede due volte l’anno, a dire tanto.”

Mi ha detto cosa gli era piaciuto. A chi pensava di proporlo. Era un ottimo editore, di un grande gruppo editoriale. Lo stesso giorno mi ha mandato il contratto di rappresentanza.


A quel punto, come si fa in questi casi, ho mandato un gentle nudge agli altri agenti che ancora non mi avevano detto di no. Li ho informati dell’offerta.

Nel frattempo, ho fatto una delle due modifiche che Massimiliano mi aveva consigliato ai primi capitoli.

L’altra no. Non subito, almeno. Perché non volevo trasformare quel passaggio in un romance trope. Lo sapete: li detesto, i tropi che annunciano la relazione dal primo o secondo sguardo. Ma capisco che me lo aveva suggerito per il posizionamento dell'editore a cui intendeva propormi, quindi legittimo e l'avrei assolutamente fatto, in quel caso.


literary girl

  1. IL DOPO IL CALL & NUDGE


Dopo i nudge, le cose si muovono. Alcuni parziali diventano full. Anche l’agente regina mi chiede il manoscritto completo. E non solo lei: si aggiunge anche un’altra queen dell’editoria USA. BOOM.


Mi riscrive persino quell’agente lì, quello della formattazione. Onestamente, non pensavo nemmeno di includerlo nel nudge. Ma lo faccio. E lui mi risponde. Distaccato, professionale. Ma mi chiede di rimandargli l’incipit, revisionato.

Glielo mando, senza sapere nemmeno se avesse letto l’altro.

Vent’anni dopo (cioè, venti minuti), mi riscrive con un tono completamente diverso. Mi dice che gli è piaciuto moltissimo. Che vuole leggere tutto.

Poche ore dopo, ricevo un’altra mail. Una cosa da non crederci.

Un’ode alla mia scrittura. Davvero. Nessuno mi aveva mai detto cose del genere. Lui, lo stesso agente che sembrava distante e scettico, adesso era coinvolto, entusiasta, committato. Mi chiede se può aggiungermi su WhatsApp per parlarne meglio (se mi va, ovvio).


Io, italiana inside, penso: “Dov’è la sola?”

Spoiler: non c’era nessuna sola.


Diego Harrison questo libro se l’è preso a martellate. E mi ha trascinata con lui. Nella call mi ha coinvolta così tanto che ho finito per sperare che le altre due regine… rifiutassero. Così da non dover scegliere io. Alla fine, accorcio i tempi rispetto alle due settimane standard e questo – ne sono certa – ha pesato nella loro decisione di fare un passo indietro.

Intanto, ovviamente, avevo informato Massimiliano. Da vero professionista qual è, mi ha detto di prendermi tutto il tempo. Che la sua proposta restava valida, comunque fosse andata.

Alla fine gli spiego il motivo della mia risoluzione verso il mercato USA e lo capisce. Non solo, si complimenta perchè sa benissimo che è una specie di mission impossible. Se non bastasse? Resta comunque disponibile per i diritti italiani, nel caso.

Io difenderò il suo nome fino alla fine dei miei giorni, sappiatelo.



  1. LA SOTTOMISSIONE AI PUBLISHER USA


Diego non è un agente editoriale. Significa che non ti fa spendere mesi e mesi di editing prima di inviare il tuo romanzo ai publisher (anche se immagino abbia le sue eccezioni). Questo significa principalmente due cose:


  1. Il tuo romanzo deve già essere una bomba. La tua scrittura deve avere una voce fortissima.

  2. Vai dritta in mano ai più grandi publisher americani (nel mio caso è stata una strategia full-court con invio a bomba, wide.)


Alcuni scrittori preferiscono gli agenti editoriali, io posso dire, oggi, che non fanno per me. Anche perchè ho letto già mille storie di questi editing lunghi mesi su romanzi che gli editor rifiutano lo stesso. Un collega anglosassone mi ha detto che l'editor, dopo aver comprato il libro, gli ha fatto addirittura rimuovere tutte le modifiche richieste dall'agente. Altri, ovviamente hanno avuto successo, ma diciamo che il dado gira per tutti più o meno allo stesso modo. E non sono dovuta star dietro a mesi di lavoro senza garanzia di risultato.


Ovviamente durante la call è bene capire che tipo di agente si ha davanti, prima di firmare.



  1. IL PERIODO DI SUBMISSION


Dura, ragazzi. Dura. Dura.

Sono nella mia terza settimana dall'invio agli editori e questo non è niente in questo mondo. Possono passare mesi e mesi, prima di avere riscontri. I fortunati che firmano un deal all'inizio della sub li chiamano gli "unicorns", ma la maggior parte sente solo "crickets" in questo periodo.

Inoltre, la possibilità che la "corsa verso il milione" finisca qui è alta. Circa il 62% dei manoscritti non trovano mai un'editore, anche dopo essersi trovati in quell'1% che riesce a trovare un agente.


Tutti consigliano di mettersi a scrivere altro, per distrarsi ma anche per avere un "another shot" nel caso il libro "morisse".

Io mi sono forzata e ora questo nuovo lavoro mi sta coinvolgendo, ma nella prima settimana sono rimasta paralizzata, con lo sguardo nel vuoto.

Ho chiesto a Diego se voleva leggere il pitch e i primi 5 capitoli del nuovo romanzo e mi ha risposto con entusiasmo di mandarglieli (impagabile!).


Staremo a vedere cosa succederà. Spero che questo articolo vi sia stato utile, se volete provarci e vi serve un consiglio, oppure se volete che io approfondisca qualche passaggio in particolare, non esitate a scrivermi o a commentare!


Grazie e buona fortuna!



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